La Gazzetta dello Sport

Confronto ad Appiano Nessun alibi alla squadra

● Dirigenti a colloquio con tecnico e giocatori: sotto esame l’approccio morbido e l’incapacità di cambiare il corso del match

- Davide Stoppini MILANO

Alibi zero. Doppio zero, tanto per capirsi. L’Inter si guarda dentro. E va bene il campo, va bene qualche decisione arbitrale giudicata contraddit­toria, va bene tutto. Ma non sono queste le risposte alla sconfitta con il Sassuolo. Almeno, non sono in prima fila. Dentro c’è altro, tanto altro. C’è un approccio morbido all’esordio in campionato, molto distante da quel «dobbiamo uscire dalla fabbrica già rodati» citato da Spalletti in vigilia. C’è la mancanza di capacità di cambiare il corso degli eventi, dunque il non sapersi ribellare a uno svantaggio, a un terreno di gioco problemati­co, a un avversario certamente ostico: in definitiva, il non aver saputo cambiare la partita. Punto numero tre: poche occasioni da gol create, pochissime, che sono la conseguenz­a di una manovra di gioco lenta e di un avviciname­nto alla porta avversaria non corretto. Quarto punto: l’Inter è sembrata, salvo un paio di eccezioni nei singoli (leggi Asamoah e Perisic), troppo molle, difetto che Luciano Spalletti aveva amaramente riscontrat­o anche in alcuni momenti della scorsa stagione.

ARBITRI? NO GRAZIE Ecco: questa è l’analisi del day after un po’ antipatico, le ore successive alla sconfitta di Reggio Emilia. E intorno a questi punti i dirigenti nerazzurri hanno deciso di ragionare, ad Appiano, insieme all’allenatore e ai giocatori. Non è giusto parlare di squadra a rapporto. Molto più sempliceme­nte la società, delusa per la prestazion­e ancor prima che per il risultato, ha voluto sottolinea­re a tutti i protagonis­ti l’idea che si può e si deve far meglio, che la rosa è considerat­a all’altezza e in grado di sopperire a qualsiasi assenza. In definitiva: non si pensi di correre dietro a scusanti che chiamano in causa rigori dati e non dati. Non è il tempo di queste lamentale, alla giornata uno. Piuttosto, la strada del lavoro sul campo resta l’unica percorribi­le.

FASCE INCOMPIUTE E la strada del lavoro chiama in causa in modo particolar­e il punto numero tre toccato ieri ad Appiano dai protagonis­ti. Dell’eccessiva centralità di Icardi – dannosa nel momento in cui Maurito è in giornata no – parliamo nel pezzo a fianco. L’intesa con Lautaro Martinez è di là da venire, non è detto neppure che sia la strada maestra da percorrere. Il secondo nodo al pettine della sconfitta di Reggio Emilia è la fragilità della corsie esterne, sia difensive sia offensive. La spiegazion­e più ovvia è legata alla contingenz­a di scelte dettate da ritardi di condizione e di arrivi last minute ad Appiano, certo. Ma in linea generale l’Inter è parsa in grado di creare qualcosa di pericoloso sull’esterno solo dopo l’ingresso di Perisic, dal quale non a caso è nata la palla gol clamorosa per Icardi. Troppo poco, specie per un tecnico come Spalletti che da sempre fa affidament­o al ruolo degli esterni per confeziona­re occasioni da gol.

LA MANOVRA L’altro nodo, forse superiore per importanza

ALLENATORE INTER

DOBBIAMO LAVORARE E METTERCI TUTTI QUALCOSA IN PIÙ

al precedente perché qui l’alibi delle assenze non sussiste, è legato a una circolazio­ne di palla troppo lenta. Più volte, durante il ritiro, s’è visto Spalletti chiedere con insistenza ai suoi giocatori una manovra rapida, senza troppi fronzoli a metà campo, alla ricerca di una verticalit­à quasi immediata. Ecco, Brozovic e Vecino non sono riusciti a garantire questo contro il Sassuolo. Certamente per merito della squadra di De Zerbi. Ma soprattutt­o per la prova opaca di Brozovic, prova che ha riportato alla memoria le prestazion­i del croato nel girone d’andata dello scorso campionato. Dalla sua crescita – l’ha detto pure Spalletti – dipende il decollo nerazzurro. Decollo atteso, tanto vale far sentire il fiato sul collo a tutti i protagonis­ti. Antenne dritte e testa al Torino. L’Inter non può perdere altro tempo.

LUCIANO SPALLETTI

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Luciano Spalletti, 59 anni (a sinistra), a colloquio con il direttore sportivo Piero Ausilio, 46 GETTY

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