PRIVATI NELLO SPORT COMINCIANDO DALLE PALESTRE
Il dibattito sui finanziamenti allo sport
L’ inchiesta della Gazzetta sul modello di sviluppo olimpico, nata dal botta e risposta Cairo-Malagò, risveglia un dibattito mai molto approfondito nel nostro Paese. Pier Bergonzi lo ha inquadrato ieri approdando all’importante suggerimento di offrire al capitale privato un ingresso diretto agli investimenti per la preparazione olimpica.
L’inchiesta della Gazzetta sul modello di sviluppo olimpico, nata dal botta e risposta CairoMalagò, risveglia un dibattito antico, per la verità mai molto approfondito nel nostro Paese. Pier Bergonzi lo ha inquadrato ieri approdando all’importante suggerimento di offrire al capitale privato un ingresso diretto agli investimenti per la preparazione olimpica. Molto opportuno. In attesa di scoprire il canale giusto, si potrebbe suggerire anche qualche diverso utilizzo degli stessi fondi, non meno utile. Per esempio nella direzione dell’edilizia sportiva, soprattutto scolastica. Se, come accade da anni nelle nostre città, la tal azienda «adotta» un’aiuola o un parco, non potrebbe fare la stessa cosa per una palestra scolastica che nessuno riesce a ristrutturare convenientemente? In cambio dell’intervento, l’azienda avrebbe il giusto ritorno di visibilità e, aggiungeremmo, di gratitudine sociale.
Non a caso abbiamo evocato la via delle comunità e dell’impiantistica. Lì sta il vero problema, cioè nella divisione dei compiti. Per complesse e stratificate ragioni storiche, lo sport non è mai entrato nel sostrato culturale «ufficiale» del nostro Paese. E non è stato nominato nella Costituzione. Del resto il presidentissimo del Coni Onesti, ex partigiano, fu incaricato di sopprimere l’ente, incrostato di fascismo e razzismo, subito dopo la liberazione, cosa che per fortuna si guardò bene dal fare. Ma il peccato originale pesa ancora. Il compromesso al ribasso, purtroppo ancora vigente, fu il seguente: lo Stato non si sarebbe occupato direttamente dello sport, né di base né di vertice, delegando il tutto proprio al Coni. Il quale accettò il patto del diavolo «per forza o per amore». Questo modello non esiste in alcun Paese evoluto. In Francia o Gran Bretagna lo Stato garantisce interventi strutturali di base inesistenti nel nostro contesto. E d’altra parte l’attività motoria nelle scuole ha uno spessore e una qualificazione impensabile in Italia, dove il Coni deve (e vuole) contemporaneamente pensare alla medaglia d’oro olimpica e, per esempio, al cofinanziamento dell’introduzione dei professori di educazione fisica nelle scuole primarie.
Da questo equivoco si esce soltanto attraverso un superamento del nostro modello. Lo Stato si deve finalmente appropriare di ciò che gli compete in termine di cultura sportiva di base, di salute, di educazione civica. Avendo ben chiaro che per ogni miliardo investito in questo settore se ne risparmieranno molti nel welfare sanitario: un Paese di sedentari e con un numero crescente di obesi è prima o poi costretto a spese assistenziali molto elevate. Le medaglie, con un Coni sgravato da compiti impropri, verranno quasi da sé: siamo bravissimi in questo.