ITALIA, GLI SPORT CHE NON T’ASPETTI
Lettere alla Gazzetta
Da Francesco Molinari protagonista della Ryder Cup nel golf a «Frankie» Dettori vincitore del suo sesto Arc de Triomphe in sella a Enable, con Sea of Class, cavalla nata in Italia, seconda vicinissima: è quasi incredibile come il nostro Paese produca fenomeni anche in discipline da noi poco popolari o dimenticate…
Un bel tema davvero: in poche settimane il mondo del golf e dell’ippica si è colorato d’Italia. Nel resto del pianeta si parla di questi successi in modo ancor più vasto che non da noi. Il golf ha fatto passi da gigante sui nostri green e anche nei decenni scorsi ha prodotto giocatori ben spendibili sul piano internazionale, ma viaggia ancora a molto distacco dalla popolarità e dai numeri di questo sport in quasi tutti i paesi occidentali, a partire da quelli anglosassoni. Sul piano delle corse di galoppo, poi, produrre un soggetto umano da record, come il re dei fantini Lanfranco Dettori, e uno equino a un passo dal trionfo è statisticamente probabile come una vittoria italiana contro la Russia o il Canada nell’hockey ghiaccio. Però è accaduto. Sia in una disciplina che abbiamo in tutto assimilato dall’estero, il golf, sia in un ambiente, quello delle corse al galoppo, oggi in crisi, ma in cui abbiamo avuto straordinarie tradizioni fino agli anni 60-70 (Nearco, Ribot e le intuizioni prodigiose del loro creatore, Federico Tesio). Non mi piace la retorica del «genio italiano», perché tende a coprire troppe nostre pecche delegando tutto all’estemporaneo, ma non mi viene altro per giustificare queste imprese, cui si applaude da Los Angeles a Tokyo, da Capo Nord al Sudafrica. Un altro motivo forse c’è e si riferisce alla nostra curiosità genetica, cioè alla voglia, anche in campo sportivo, di andare al di là della proposta di massa. Gli antidoti alla monocultura calcistica sono potentissimi in Italia. Dove, per chiarire, è il Coni che decide che cosa è sport e che cosa no: il pilates non lo è, gli scacchi sì. Nell’elenco approvato l’anno scorso dal nostro Comitato Olimpico delle «discipline sportive ammissibili per l’iscrizione al Registro delle discipline Sportive Dilettantistiche» (e ai relativi sgravi fiscali) sono inserite attività, sulle quali mi permetto un piccolo test. Avete mai sentito parlare di: s’istrumpa, rugby subacqueo, bandy, dragon boat, fistball, floorball, fiolet, lancio del formaggio, pancrazio athlima, sepaktakraw? Se la risposta e no, siete in ottima e numerosa compagnia. Giuro che non mi sono inventato niente: divertitevi a cercare il «che cos’è» su Internet, non ho abbastanza spazio per farlo qui.
E taccio di pallapugno o pallatamburello, discipline regionali che potremmo assimilare al calcio gaelico irlandese o al football australiano, ma che gran parte d’Italia ignora. Ci sono sport come il cricket, popolarissimo in un quarto del mondo, ma semisconosciuto dagli altri tre quarti, dove noi siamo presenti col nostro bravo campionato. Come del resto nel lacrosse, polo, reining (disciplina equestre che deriva dal lavoro dei cowboys), nella caccia al frullo, eccetera. Se proponessimo questo elenco ai responsabili dei comitati olimpici di Germania o Inghilterra, strabuzzerebbero gli occhi. Diceva sconsolato Charles De Gaulle (che prima di essere un aeroporto, come ha suggerito un buon umorista, è stato uno storico generale e capo di Stato francese): «Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?». Figuriamoci l’Italia, che ne ha 487 e molto più diversificati. Noi siamo questi, localisti e insofferenti all’omologazione, anche nello sport. Gelosamente alla ricerca di un’identità poco accessibile agli altri. Cambiare? Mah, io per il momento preferisco tenermi i miei Dettori e Molinari.