La Gazzetta dello Sport

Pellissier

«Tornerà lo spirito del vero Chievo Ventura insegnerà ancora calcio» ●L’uomo simbolo dei veneti, 40 anni ad aprile «La gestione D’Anna? Tutti abbiamo colpe»

- Matteo Brega MILANO

Sergio Pellissier ha ballato per metà della sua vita con la maglia del Chievo. Arrivato in Serie B a 21 anni dal Varese nel 2000, se ne andò sei mesi dopo per una parentesi di un anno e mezzo alla Spal. Al ritorno, si ritrovò la squadra in A e senza saperlo iniziò un legame umano e profession­ale con il presidente Luca Campedelli che lo porterà a superare i 40 anni il prossimo 12 aprile.

Ricordi piacevoli e altri meno: questo Chievo è la versione più sofferta da quando lo vive?

«Sicurament­e non è una situazione semplice. Ci siamo preparati tutta l’estate con il pensiero della penalizzaz­ione. Sapevamo che dovevamo partire forte per annullare quel meno in classifica nel minor tempo possibile. Invece ci siamo ritrovati a sbagliare l’approccio in qualche partita e così ti ritrovi a gestire INCROCIO ESTIVO Gian Piero Ventura e Sergio Pellissier nell’agosto del 2009 prima di una partita amichevole tra il Bari allenato dal nuovo tecnico dei veneti e il Chievo a Bolzano

la paura di non vincere e di non farcela».

Par di capire che ci siano stati passaggi più delicati...

«Stagione 2008-09, quella del ritorno in Serie A. Il 21 dicembre, ultima giornata prima della pausa natalizia, perdiamo in casa contro il Genoa e siamo ultimi, a 4 punti dalla Reggina penultima e a 6 da Bologna e Torino, le prime in zona salvezza.

Quello è stato il momento più delicato perché erano già passate 17 giornate di campionato. E alla fine ci salvammo».

La scalata della montagna di cui ha parlato Gian Piero Ventura è quindi possibile?

«Bisogna restare tranquilli, il campionato è lungo. In quella stagione eravamo una squadra più esperta di adesso, ma c’erano meno margini perché quasi un girone se n’era andato».

La scelta di Ventura come la cataloghia­mo?

«Un allenatore che insegna calcio e che lo ha sempre insegnato ovunque è andato».

Con Lorenzo D’Anna cosa è successo?

«Non avevamo la cattiveria giusta per affrontare le partite. Bisognava giocare alla morte, invece scendevamo in campo con la paura di perdere. Qualche errore lo ha commesso lui, qualche errore lo abbiamo commesso noi. Il calcio ha bisogno della mentalità giusta. Solo così emerge la qualità di una squadra. Se ti accontenti, non porti a casa tutto quello che meriti. Devi lottare e poi tirare le somme».

In questo Ventura sarà determinan­te?

«Ci darà le istruzioni per ottenere il meglio. Noi non dobbiamo pensare alle vicissitud­ini che ha passato con la Nazionale. Dobbiamo pensare che prima, ovunque ha allenato, ha fatto bene. Se hai la sicurezza di fare bene, lo farai. E la mentalità deve essere quella di voler vincere ogni partita».

La classifica della Serie A appare già spaccata in due tronconi: sarà così per tutto l’anno?

«È troppo presto per fare i bilanci, il campionato è complesso e difficile. Non guardo il calendario perché non ha importanza. Non è il momento di pensare di essere già retrocessi, bisogna essere positivi».

Lei pensa sempre al presente anche per sé? Il prossimo compleanno è quello dei 40…

«Penso di fare il meglio nel presente, poi a primavera vedremo come starò».

Anche perché con il gol segnato prima della pausa al Milan ha infilato la 17^ stagione consecutiv­a con il Chievo con almeno una rete in campionato e in Serie A siamo a quota 109…

«Mi piace pensare che fino a quando mi sentirò bene e in grado di reggere il confronto con i compagni e gli avversari, ci proverò».

Non si vede sulla panchina del Chievo in futuro?

(ride, ndr) «Ho un carattere forte e in un mondo dove spesso devi adattarti non credo che sarei adeguato».

Come ha fatto allora ad andare d’accordo per tutto questo tempo con un solo datore di lavoro?

«Con Campedelli ci siamo capiti subito e con il tempo è nato un rapporto che va oltre quello profession­ale. E poi siamo simili su una cosa: soffriamo tremendame­nte per il Chievo».

Nell’anno dei 40 lei si emoziona ancora con il calcio?

«Senza dubbio, e guai se attaccano il Chievo. Sono un tipo orgoglioso, mi metto davanti a difenderlo».

Calciatore, marito e padre di tre figli di cui uno gioca nel settore giovanile del Chievo: giornate impegnate?

«Mi piace veder crescere i piccoli, anche se servirebbe più tempo. Per questo li porto a scuola e il medio lo riporto anche a casa dagli allenament­i. Mi sarebbe piaciuto che mi avessero visto di più giocare, ma va bene così».

Un figlio «adottivo» nello spogliatoi­o è Mariusz Stepinski: c’è un motivo particolar­e per questo legame?

«Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a capire il calcio italiano tatticamen­te. Lo comprendev­o, perché da giovane mi piaceva ascoltare i più esperti, assorbire i loro consigli. Solo così cresci».

La mentalità del Chievo è cambiata?

«Non deve cambiare, perché quella resta la nostra forza. Rimboccars­i le maniche e lavorare per mantenere la A. Con questo spirito, lo stesso del presidente, si può fare».

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