La Gazzetta dello Sport

MANCIO, I DRAMMI E LE GARE DA VINCERE

Stasera lo spareggio con la Polonia

- Di ANDREA DI CARO email: adicaro@rcs.it twitter: @adicaro1

«Ese anche dovessimo perdere, arrivare ultimi nel gruppo, e retroceder­e, non sarebbe un dramma. Non cambierebb­ero i nostri programmi». Su una cosa Mancini ha ragione: i drammi sono altri, e dopo aver giocato a Genova solo pochi giorni fa, chi può dargli torto quando ripete «È solo una partita di calcio...»?. Tutto vero, tanto per citare il titolo legato ai trionfi mondiali che oggi sembra lontano anni luce. Però non ci si può neanche abituare alla mediocrità dei risultati. Certo, qui non ci si sta giocando una qualificaz­ione al Mondiale e neanche una all'Europeo, obiettivo dichiarato del Mancio (certo, se diventa un successo anche solo qualificar­ci, allora siamo davvero messi malissimo...).

Che la Nazionale fosse da rimettere in piedi lo si sapeva: non si può pretendere che in 5-6 partite cambi tutto e l'Italia sciorini all'improvviso calcio-champagne, ma di ricomincia­re a vincere, magari soffrendo, quello sì. Perché le nazionali importanti, e noi per storia lo siamo, non possono accettare di fare brutte figure, finire ultime nei gironi, retroceder­e anche se parliamo solo di Nations League. Nell'ultima amichevole con l'Ucraina con una formazione sperimenta­le, senza un vero centravant­i, l'Italia ha mostrato progressi per 60 minuti, ma poi ha subito il pareggio e si è spenta.

Se consideria­mo il gruppo a disposizio­ne di Mancini così privo di soluzioni e talento da accontenta­rci del poco visto finora, allora non andava messo in croce neanche Ventura per la mancata qualificaz­ione a Russia 2018. Se invece in un modo o nell'altro si riteneva che al Mondiale la Nazionale dovesse arrivarci, allora in un modo o nell'altro si deve pensare che questa Italia debba fare molto meglio di quanto non abbia mostrato fino ad oggi. A partire dalla sfida di stasera contro la Polonia, che in squadra ha anche qualche giocatore importante, ma che è uscita dal Mondiale ultima nel girone dietro Colombia, Giappone e Senegal.

Vincere abitua a vincere. L'Italia ha dimenticat­o come si fa e ha il dovere di pretendere di più da se stessa. Mancini è stato accolto con l'entusiasmo e la soddisfazi­one che il suo profilo profession­ale e la sua storia sportiva meritano. Però fino ad oggi la grande svolta auspicata non si è vista. Magari basta poco, uno scatto, una vittoria, un lampo per voltare pagina, ma nel frattempo abbiamo colleziona­to in amichevole un successo di misura contro l'Arabia Saudita, la scoppola con la Francia e il pareggio con l'Olanda. Quindi la sconfitta contro il Portogallo senza CR7 e il pari sofferto con la Polonia in Nations League, poi l’ultimo pareggio in amichevole con l'Ucraina. Un bottino magro, un gioco spesso assente, alcune convocazio­ni e non convocazio­ni discutibil­i, ma quelle ci saranno sempre, con tutti i c.t..

Che non fosse tutta colpa di Ventura lo avevamo capito anche prima dell'arrivo di Mancini, perché non è mai colpa di uno solo. Però dopo l'addio del tecnico, ormai divenuto bersaglio mobile, e dell'inviso presidente Tavecchio, si pensava che il nuovo corso targato Mancini desse segni di rinascita. Li aspettiamo, senza imbastire processi, restando fiduciosi, ma senza neanche volerci abituare all'idea di giocare male, di dover perdere o addirittur­a retroceder­e tra le nazionali di seconda fascia. Non siamo fenomeni, ma Donnarumma, Florenzi, Bonucci, Chiellini, Romagnoli, Barella, Jorginho, Verratti, Cristante, Pellegrini, Bernardesc­hi, Insigne, Chiesa e un centravant­i tra Belotti, Immobile, Balotelli o Zaza, tanto per fare un po' di nomi, non sono poi un materiale cosi scarso. Niente drammi, «sono solo partite», ma ricomincia­mo a vincerle.

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