Piccinini e le eredi: «Ci somigliano, faranno bene»
●La schiacciatrice al Festival insieme alla Cacciatori: «Si divertono, come noi nel 2002. Io gioco ancora un anno, poi...»
In tanti anni insieme si sono conosciute, sono diventate amiche, hanno affinato lo sguardo. Maurizia Cacciatori e Francesca Piccinini sono arrivate ieri al Festival di Trento nelle vesti di intervistatrice e intervistata, ma ben presto i ruoli delle due sul palco cadono e sgorga il flusso del vissuto, le migliaia di giornate passate in palestra, la voglia di invertire i termini dell’equazione che le ha accompagnate da sempre: non belle e anche brave, ma brave e sì, anche belle. OCCHI BUONI Maurizia e Francesca vedono lontano. «Rinunciai a Rio 2016 perché vedevo gli occhi spenti delle compagne - confida Piccinini -. Non trovavo determinazione, nemmeno tra le più giovani. Ora invece capisco che le ragazze in Giappone si stanno divertendo. Faranno un percorso bello. Queste sottigliezze le vediamo. Così come le ragazze di oggi anche noi ai Mondiali del 2002 non eravamo favorite, ma il gruppo era unito e vincemmo». «Non credo che ci si possa rivedere in qualcuno — aggiunge Cacciatori —, ma noto nella squadra in Giappone la stessa “cazzimma” che avevamo noi. Credo che andranno a medaglia. Però per scaramanzia non dico quale».
DETERMINATE Di «cazzimma» ne hanno dimostrata anche loro due. «Prima di noi c’era stata la Generazione dei Fenomeni, nelle donne non credeva nessuno — racconta Maurizia —. Quando ci qualificammo per Sydney 2000 fu quasi un problema, non avevano nemmeno prenotato i voli. Quando Marco Bonitta mi disse che non facevo più parte del gruppo, mi chiusi in macchina e mi misi ad ascoltare Depende degli Jarabedepalo. Cercai di pensare che davvero tutto dipendeva da come guardi il mondo, ma non mi convinse. La realtà è che avrei voluto rigare la macchina di Bonitta parcheggiata di fianco alla mia. Marco ha segnato tante carriere, non solo la mia, e nel libro (Senza rete, ndr) ho parlato a nome di tutte. Di certo da quel giorno non avrei più preparato la borsa per l’allenamento allo stesso modo». Nella loro strada, però, Piccinini e Cacciatori hanno incrociato anche Julio Velasco: «È stato con noi 4-5 mesi, ma ci ha dato tanto», sintetizza Piccinini. «Voleva che imparassimo l’inglese — aggiunge Cacciatori —, ci teneva a tutto, anche all’alimentazione, a farci rispettare le tradizioni locali. A Ekaterinburg, per colazione trovammo lingua bollita e cetriolo. Elisa Togut nascose i salamini nello zaino». L’INIZIO E LA FINE E poi ci sono i tecnici indimenticabili, come Giuseppe Giannetti, scomparso ad agosto, che le fece crescere entrambe a Carrara. «Ci cucì addosso la maglia perfetta, non tanto per essere campionesse, ma donne in grado di affrontare le difficoltà», sintetizza Maurizia. La storia di Francesca, poi, è emblematica. «Lasciai casa per il volley a 15 anni. Per l’età che avevo ero alta, sembravo forte, ma in fondo ero una bambina. Ho dovuto fare delle scelte da sola, quando chiamavo a casa dicevo “tutto bene” anche quando non era così. Mio papà teneva tutti gli articoli che uscivano su di me. Qualche Natale fa mi ha regalato quell’enciclopedia: 24 fascicoli». A ogni libro, però, prima o poi bisogna mettere il punto finale. «Quest’anno mi divertirò ancora, ma il prossimo penso di smettere».