PAOLO Maldini
●«Il mio rapporto con Galliani? Semplice: non rientravo nei suoi piani L’avversario più forte che ho incontrato è stato Maradona. Poi Platini, Ronaldo e Totti»
«Le dico cosa vorrei, nel mio ruolo. Voglio che il Milan torni protagonista in Italia e in Europa. Voglio restituire tradizione e senso di appartenenza, cosa su cui abbiamo iniziato a lavorare anche nelle giovanili. Credo nel fatto che si possa raggiungere un obiettivo fondamentale come la Champions. Che è imprescindibile e reputo un traguardo realistico».
E l’Europa League? Come ci si approccia il Milan?
«La rispetteremo e la giocheremo al massimo, anche perché non l’abbiamo mai vinta».
Sono passati poco più di due mesi dal suo insediamento. Dopo una lunga ricerca, ha trovato quello che cercava?
«Direi proprio di sì. Ho sempre pensato che sarebbe stato bello ricominciare col Milan e questa opportunità credo sia stata ciò che di più vicino c’è al momento perfetto. E’ tutto molto bello, rifarei la scelta. La strada imboccata è quella giusta».
Con Leonardo come compagno di viaggio.
«Siamo molto diversi, direi complementari, e la trovo una combinazione fortunata. Di lui ho stima e ho grande fiducia. Per me Leo sotto certi aspetti è un punto di riferimento, come fu Galliani per lui. Con Leo dividiamo l’area sportiva, il merca-
to e indichiamo la linea progettuale. Ah, dividiamo pure l’ufficio».
A proposito di Galliani: ci racconta una volta per tutte il vostro rapporto?
«Semplice: chi sceglie i collaboratori ha idee chiare e io non rientravo nelle sue idee. I litigi sono normali in un grande club, ma abbiamo trascorso insieme anni molto intensi. Io non voglio accanto persone che mi diano sempre ragione».
Se citiamo Galliani, non possiamo non nominare Berlusconi. Ce lo descriva con una parola.
«Visionario. Ci diceva che con lui saremmo diventati i più forti del mondo e noi ce la ridevamo sotto i baffi. Non capivamo cosa stava portando di nuovo».
L’ultima novità è che vuole portare il Monza in A in due anni.
(risata in sala) «C’è poco da ridere, secondo me ce la fanno... La trovo un’operazione fantastica, una cosa bella e farò il tifo anche per loro. Finché non saranno in A ovviamente. La verità è che il calcio è una malattia da cui non guarisci più».
Nell’elenco dei malati entra di diritto Gattuso ovviamente.
«Con Rino molti si sono dovuti ricredere. Noi abbiamo toccato con mano la sua capacità di parlare alla squadra e le abilità tecnico tattiche. Ha un grande senso d’appartenenza, proprio ciò che vogliamo trasmettere. La sua immagine sta cambiando, ora nei comportamenti e nelle cose che dice ha fatto un salto di qualità enorme. Non a caso ha la nostra fiducia».
Andiamo a ritroso con gli allenatori. E’ un peccato che Sacchi non abbia allenato più a lungo?
«Si. E’ arrivato al Milan al momento giusto, anche se è stato così maniacale da restare prigioniero della sua mentalità. Lo stress lo ha consumato, ma una parte della sua filosofia è ancora attuale. Su di lui ho ancora gli incubi, non scherzo...».
Ci faccia qualche altro nome.
«Capello era sia manager che un grandissimo allenatore. Per me in realtà è iniziato tutto con Liedholm, è lui che mi ha fatto debuttare e insegnato a giocare. Ancelotti è stato un maestro nella gestione del gruppo, quel periodo me lo sono goduto».
I tre avversari più forti che ha incontrato?
«Facciamo quattro. Maradona sopra tutti gli altri, Platini, Ronaldo e Totti fra gli italiani».
Messi o CR7?
«Messi è qualcosa di unico, l’essenza del calcio. Negli ultimi q uindici an ni è stato il più forte in assoluto».
Anche lei rappresenta un discreto mito: il Milan ha pure ritirato il suo numero.
«Bello, ma provo anche un po’ di vergogna. Però ne sono molto orgoglioso».
In campo quanto era duro da 1 a 10?
«Se occorreva, dieci. Io mi considero corretto, ma una volta incontrai Maradona a una premiazione, mandarono dei filmati e alla fine mi sentii di chiedergli scusa. Gli dissi: “Non ricordavo di averti picchiato così tanto...”. Insomma, ci sono situazioni particolari. Come quella volta con l’arbitro Moreno, in Nazionale. Io so un po’ di spagnolo e tirai fuori davvero il peggio di me».
Siamo certi che al suo primo derby da dirigente non capiterà. Sensazioni?
«Pensavo di essere molto più emotivo allo stadio, invece l’emotivo è Leo e io più freddo. L’importante sarà giocare per vincere e comunque non perdere per restare agganciati a quel treno. Con l’Inter partiamo alla pari».
E se Higuain continua su questa strada...
«Un campione vero. Ha alzato il livello della squadra non solo con i gol ma anche col suo modo di allenarsi. Era importante anche quando non segnava, ora la sua leadership è ancora più chiara».
A proposito di giocatori importanti nello spogliatoio. Se mai dovesse arrivare Ibra, non rischierebbe di essere una figura troppo ingombrante?
«Io non credo ai giocatori ingombranti. Comunque si gestiscono con società forti, e noi lo siamo. Lui è stata un’idea estiva, ma chiaramente avere dei campioni in squadra fa piacere. E Zlatan ha personalità ed è un campione. In generale, una squadra che vuole puntare in alto deve avere giocatori di personalità: i nostri ce l’hanno, ma gente come Higuain e Ibrahimovic aiuta a tirare fuori le potenzialità altrui».
Le piace la fascia sul braccio di Romagnoli?
«Sì, l’idea è quella di trasmettere certi valori, lui li ha e puntiamo molto su Alessio. Così come su Cutrone. La speranza per chi arriva dal nostro vivaio è sempre la stessa: che diventi una bandiera».
Un giudizio su Paquetà?
«Veramente il mercato è chiuso (ride, ndr). Ha talento, non è ancora formato al 100%, ma è un giocatore che può far sognare». Parola di direttore.