«GAZZETTA AWARD» ALL’ATLETA DI FANO
La statua contesa
Avete appena seguito la straordinaria serata «Gazzetta Awards». Protagonisti i campioni italiani dell’anno, salvo uno, che non ha potuto intervenire perché trattenuto contro la sua volontà e le nostre leggi nella «Getty Villa» a Malibù, in California. Un vero rapimento. Si tratta dell’Atleta di Fano (o di Lisippo, dal nome del suo probabile scultore). In questo momento è proprio lui il più popolare di tutti, anche suo malgrado, per la sentenza della Cassazione che intima al museo americano di restituirne la statua in bronzo al nostro Paese. Una lunga battaglia giudiziaria, forse arrivata alla fine, che dovrebbe consentire all’Italia di riavere un altro gioiello dell’arte antica, rinvenuto da pescatori nell’Adriatico nel 1964 e che ha preso dopo pochi anni, in modo illegale, la via dell’estero.
Ma l’Atleta di Fano, come i Bronzi di Riace, appartiene al nostro patrimonio artistico. Oriundo come quelli, nel senso che la sua provenienza è la Grecia, dove è stato fuso a grandezza naturale in una data compresa fra il quarto e il secondo secolo prima di Cristo, con la tecnica della «cera persa». Secondo qualche esperto, potrebbe provenire proprio da Olimpia. E’ un giovane d’aspetto fiero che sta compiendo col braccio destro il gesto di aggiustarsi la corona di ulivo selvatico (non di alloro) che spettava ai vincitori dei Giochi. La discussione degli esperti su soggetto, provenienza e autore continua da decenni, come la guerra in tribunale. A noi resta il tifo sincero perché le Marche riabbiano presto il loro campione.
Ne parlo qui non soltanto per celebrarlo, ma anche per ricordare lo stato nascente di un’attività umana coinvolgente come nessuna: lo sport. Il mondo di Olimpia (e dei Giochi allora non meno importanti come Pitici, Istmici e Nemei) è stato fin troppo idealizzato: l’approccio ottocentesco è giunto fino a noi. In realtà anche in quell’epoca lontana accadevano cose brutte assai. Arbitri sotto accusa, come quando Leone di Ambracia (396 a. C.) accusò i giudici di aver favorito nella corsa l’idolo locale Eupolemo. Truffe e corruzioni: il pugile Eupolo fu beccato nella 98.a Olimpiade, insieme agli avversari che aveva corrotto. Irregolarità anche terrificanti: nel pugilato, Creuga di Epidamno fu dichiarato vincitore per squalifica di Damossena di Siracusa che l’aveva colpito a dita aperte sventrandolo; solo che nel frattempo Creuga era già morto. Deviazioni da campionismo: molti vincitori venivano letteralmente coperti d’oro e di privilegi dalle rispettive città, come il vincitore a Delfi di Pentathlon e Stadio, Faillo di Crotone (482 e 478 a.C.), che si poté permettere di armare in proprio alcune navi per la battaglia di Salamina (480 a. C.). Sessismo e razzismo: altro che universalismo, i Giochi erano vietati alle donne e ai non greci, detti «barbari». La parola, passata poi ai romani, significava letteralmente «balbuzienti», cioè «che non parlavano greco» e aveva un’accezione di grande disprezzo. Non è nemmeno vero in senso stretto, come si favoleggia, da sempre, che le Olimpiadi interrompevano le eterne guerre fra le Polis: più correttamente a chi viaggiava per i Giochi si concedeva un salvacondotto; del resto, sullo stesso scenario di Olimpia più di una volta si combatterono battaglie vere, quelle con le armi, con tanto di vittime.
Ma nonostante il campionario di meschinità che ho riassunto, i greci hanno inventato un modo di essere uomini di eterno e insuperabile valore culturale. E’ facile riassumere che cosa deve loro lo sport moderno: tutto.