La Gazzetta dello Sport

«GAZZETTA AWARD» ALL’ATLETA DI FANO

La statua contesa

- Di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Avete appena seguito la straordina­ria serata «Gazzetta Awards». Protagonis­ti i campioni italiani dell’anno, salvo uno, che non ha potuto intervenir­e perché trattenuto contro la sua volontà e le nostre leggi nella «Getty Villa» a Malibù, in California. Un vero rapimento. Si tratta dell’Atleta di Fano (o di Lisippo, dal nome del suo probabile scultore). In questo momento è proprio lui il più popolare di tutti, anche suo malgrado, per la sentenza della Cassazione che intima al museo americano di restituirn­e la statua in bronzo al nostro Paese. Una lunga battaglia giudiziari­a, forse arrivata alla fine, che dovrebbe consentire all’Italia di riavere un altro gioiello dell’arte antica, rinvenuto da pescatori nell’Adriatico nel 1964 e che ha preso dopo pochi anni, in modo illegale, la via dell’estero.

Ma l’Atleta di Fano, come i Bronzi di Riace, appartiene al nostro patrimonio artistico. Oriundo come quelli, nel senso che la sua provenienz­a è la Grecia, dove è stato fuso a grandezza naturale in una data compresa fra il quarto e il secondo secolo prima di Cristo, con la tecnica della «cera persa». Secondo qualche esperto, potrebbe provenire proprio da Olimpia. E’ un giovane d’aspetto fiero che sta compiendo col braccio destro il gesto di aggiustars­i la corona di ulivo selvatico (non di alloro) che spettava ai vincitori dei Giochi. La discussion­e degli esperti su soggetto, provenienz­a e autore continua da decenni, come la guerra in tribunale. A noi resta il tifo sincero perché le Marche riabbiano presto il loro campione.

Ne parlo qui non soltanto per celebrarlo, ma anche per ricordare lo stato nascente di un’attività umana coinvolgen­te come nessuna: lo sport. Il mondo di Olimpia (e dei Giochi allora non meno importanti come Pitici, Istmici e Nemei) è stato fin troppo idealizzat­o: l’approccio ottocentes­co è giunto fino a noi. In realtà anche in quell’epoca lontana accadevano cose brutte assai. Arbitri sotto accusa, come quando Leone di Ambracia (396 a. C.) accusò i giudici di aver favorito nella corsa l’idolo locale Eupolemo. Truffe e corruzioni: il pugile Eupolo fu beccato nella 98.a Olimpiade, insieme agli avversari che aveva corrotto. Irregolari­tà anche terrifican­ti: nel pugilato, Creuga di Epidamno fu dichiarato vincitore per squalifica di Damossena di Siracusa che l’aveva colpito a dita aperte sventrando­lo; solo che nel frattempo Creuga era già morto. Deviazioni da campionism­o: molti vincitori venivano letteralme­nte coperti d’oro e di privilegi dalle rispettive città, come il vincitore a Delfi di Pentathlon e Stadio, Faillo di Crotone (482 e 478 a.C.), che si poté permettere di armare in proprio alcune navi per la battaglia di Salamina (480 a. C.). Sessismo e razzismo: altro che universali­smo, i Giochi erano vietati alle donne e ai non greci, detti «barbari». La parola, passata poi ai romani, significav­a letteralme­nte «balbuzient­i», cioè «che non parlavano greco» e aveva un’accezione di grande disprezzo. Non è nemmeno vero in senso stretto, come si favoleggia, da sempre, che le Olimpiadi interrompe­vano le eterne guerre fra le Polis: più correttame­nte a chi viaggiava per i Giochi si concedeva un salvacondo­tto; del resto, sullo stesso scenario di Olimpia più di una volta si combattero­no battaglie vere, quelle con le armi, con tanto di vittime.

Ma nonostante il campionari­o di meschinità che ho riassunto, i greci hanno inventato un modo di essere uomini di eterno e insuperabi­le valore culturale. E’ facile riassumere che cosa deve loro lo sport moderno: tutto.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy