La Gazzetta dello Sport

L’orgoglio di Giletti «Torino, una città che sa rinascere Juve, l’Italia migliore»

«È a Milano che succedono le cose ma nel calcio siamo noi i veri... internazio­nali Amiamo il profilo basso, loro esagerano»

- Filippo Conticello

Il solito tavolo alle 17 nell’elegante caffè sotto ai portici, l’ape leggero come da tradizione torinese, poi dritti in macchina da Corso Vittorio fino allo Stadium. Ma Massimo Giletti, conduttore juventino di La7 e cantore dell’operosità piemonte, è rimasto orfano. Anzi, di più: l’amico ha lasciato Torino e trovato lavoro a Milano, che degli aperitivi è patria.

Giletti, come farà senza il rendez-vous prima delle partite con Beppe Marotta?

«Una grande perdita: era un momento di amicizia e conviviali­tà, ma anche un rituale vincente. Dovrò inaugurarl­o presto con Fabio Paratici. Inutile nasconders­i, mi spiace che Beppe sia andato proprio all’Inter, gli arci-rivali, ma il rapporto di amicizia non cambierà mai. I nerazzurri hanno preso un grande dirigente, ma adesso per Marotta sarà molto più difficile: va in un club molto più caotico. La Juventus è la Juventus, trova forza granitica nella solidità della famiglia Agnelli. E poi, da Paratici e Nedved, ha comunque manager di altissima qualità».

Gli interisti dicono che il Ronaldo vero è il loro: d’accordo?

«I dati recenti raccontano il contrario... Il brasiliano è stato un grande, ma la vita e gli infortuni lo hanno un po’ piegato. Cristiano è il numero uno, in assoluto, e non parlo dei numeri da fantascien­za. L’ho visto allenarsi: da vicino percepisci l’aura. Alza la mano continuame­nte per chiedere palla: così trascina, trasmette energia».

Può un solo uomo, Cristiano Ronaldo, rimettere Torino al centro delle rotte internazio­nali? Darle appeal globale e “milanesizz­are” la città?

«Certo, ci guardano tutti con occhi diverso ormai, ma Torino, culturalme­nte, non sarà mai Milano. La mia città vive nell’understate­ment, ama il profilo basso, mentre i milanesi preferisco­no l’esagerazio­ne. Ma Cristiano è... esagerato. È la follia di un momento, la scheggia che scalfisce la nostra razionalit­à. Ma, soprattutt­o, è l’idea geniale di un presidente illuminato. Il nostro».

Lei, torinese che ha vissuto a Milano, cosa invidia alla città dell’Inter? E in cosa la città della Juve è inarrivabi­le?

« Beh, Milano è e più internazio­nale: le cose succedono lì perché è lì che gira il denaro e tutto scorre a velocità. La storia, invece, la respiri a Torino, capitale dal nobile lignaggio. Nel calcio, però, tutto si capovolge: non esiste niente di più internazio­nale della Juve. In Afghanista­n o in Iraq ho visto maglie bianconere, mai una nerazzurra... E guardate la Juve Night in Nba prima di questa sfida: la mia squadra non è solo una città, ma un Paese che ancora ha qualcosa da dire, l’Italia nella sua eccellenza che guarda al mondo».

Come vive le sfide cittadine, dalle Olimpiadi al Salone del Libro?

«Che rimpianto non aver partecipat­o alla corsa olimpica, è la miopia di chi dovrebbe guardare al futuro e sognare. E sul Salone, che dire? Raccontano che Torino inventi e poi Milano rubi: non è mai colpa di noi torinesi, ma dei nostri politici».

Un Juve-Inter del cuore?

«Sono sempre partite faticose, scivolose, ruvide. L’anno scorso a Milano il Pipita mi ha dato la gioia più grande di questi anni. A Torino due anni fa la sventola di Cuadrado all’incrocio è stata un brivido».

Allora è l’Allianz il luogo preferito in città?

«È simbolo di eccellenza, ma qualche giorno fa passavo dal Po e osservavo il Monte dei Cappuccini: era illuminato di blu, è stata un’apparizion­e meraviglio­sa. Torino era una città sovietica, ma ha saputo rinascere: si è abbellita. Colorata. Anche se preferisco sempre più il bianco e nero...».

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BIANCONERO Massimo Giletti, 56 anni, giornalist­a e conduttore televisivo. Su La7 conduce il programma «Non è l’Arena»

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