La Gazzetta dello Sport

Addio Radice uomo scudetto del Torino 1976

Scuola Milan, ha portato un po’ di Olanda da noi e allenato mezza Serie A

- Nicola Cecere

C’è un filmato pescato in queste ore negli archivi Rai, e proposto anche dal nostro sito rosa, che spiega perfettame­nte perché Gigi Radice, al quale il calcio italiano sta dando un commosso addio, era stato soprannomi­nato «il tedesco». La ripresa inizia al fischio finale di Torino-Cesena, la partita che assegna ai granata lo scudetto 1976, il primo dopo l’era degli immortali capitanati da Valentino Mazzola. La telecamera segue Radice che si dirige a centrocamp­o, inseguito dal cronista Paolo Frajese. L’allenatore si imbatte nel suo difensore Mozzini, e gli chiede conto del gol del pareggio «beccato» dal Cesena: fin lì il Toro in casa le aveva vinte tutte. Gigi è palesement­e contrariat­o. Frajese continua a ripetere «vabbé, lascia stare, la Juve ha perso, sei campione d’Italia», ma l’allenatore continua a non darsi pace per quel record rovinato proprio nel giorno della festa. Soltanto dopo un abbraccio di Pulici, il capocannon­iere granata, e l’accorrere dei tifosi, Radix si consegna ai suoi giocatori: la foto qui in alto è più eloquente di mille parole.

OLANDA STYLE Un perfezioni­sta, un uomo dallo sguardo di ghiaccio e dalle ferree regole disciplina­ri, conquistat­o dal calcio «totale» mostrato dall’Olanda nel Mondiale 1974 che seppe trasferire, nella mentalità e nel pressing, agli straordina­ri uomini di quell’epoca dorata. Questa la formazione tipo: Castellini tra i pali; Santin, Mozzini, Caporale e Salvadori in difesa; Patrizio Sala, Pecci, Zaccarelli a centrocamp­o; Claudio Sala, Graziani e Pulici in avanti.

IL GRANDE TORO Anni dopo, Gigi rievocò per la Gazzetta quell’impresa. «Siamo stati i primi a fare pressing, il dai e vai in velocità. Quel Toro era una squadra moderna, che s’ispirava con metodo e chiarezza alla scuola olandese; la Nazionale, l’Ajax, calcio totale, nuova luce in Europa. Già a Cesena avevo cercato di portare quelle concezioni. Oddio, è rischioso, non è facile fare il fuorigioco. Ma è molto attraente e riempie di gioia. Bisogna trasmetter­e ai giocatori una mentalità vincente. Andavamo in campo per imporre il nostro gioco, contro tutti. Ci siamo quasi sempre riusciti, spinti anche dalla forza e dall’immensa eccitazion­e del popolo granata. Abbiamo fatto resuscitar­e il Grande Tori-

no. Dicevano che dopo la terribile sciagura di Superga la tifoseria aveva vissuto anni di inguaribil­e rimpianto. Vero, ma mai di rassegnazi­one. Mai. Ed era questa voglia, questo dinamismo a darci la carica: il Toro voleva ridiventar­e grande. E ce l’ha fatta dopo splendida cavalcata e superando l’avversaria di sempre: una forte Juve».

IL CICLO Con questo gruppo di campioni, Radice nella stagione seguente difese il tricolore sino all’ultima giornata in uno storico testa a testa con la Juve dell’esordiente Giovanni Trapattoni, suo compagno di squadra nel Milan scudettato ‘62 e campione d’Europa ‘63. Praticamen­te un gemello. I bianconeri arrivano primi con 51 punti (record per i tornei a 16) e i granata secondi a 50. Un duello indimentic­abile. Il Toro fa bene pure nel ’78: terzo. L’anno dopo c’è un quinto posto che vale comunque l’Europa e nel 1980 i granata giungono terzi, con Radice che però lascia a Rabitti dopo la 19a giornata.

LA TRAGEDIA Un tragico incidente stradale avvenuto pochi mesi prima lo aveva segnato nel fisico (riportò serie ferite) ma soprattutt­o nell’anima. C’era lui alla guida quando, sull’Autostrada dei Fiori, nei pressi di Andora, un Tir sfondò il guardrail e piombò nell’altra carreggiat­a travolgend­o diverse auto tra le quali la Fiat 130 coupé dell’allenatore granata. Al suo fianco sedeva Paolo Barison, inseparabi­le collaborat­ore tecnico. Che perse la vita a soli 42 anni.

MILAN Nel 1981 lo ingaggia il Milan, il «suo club». Gigi c’era arrivato ragazzino e fece tutta la trafila delle giovanili, affacciand­osi qua e là in prima squadra durante quattro stagioni condite con la conquista di due scudetti. Come capita ai giovani, venne mandato a maturare in provincia (Trieste, Padova) e quindi richiamato alla base per fare il titolare. Così il tricolore 1962 lo vede tra i protagonis­ti: terzino sinistro, più difesa che spinta. Ma dopo la Coppa Campioni gli capita un rovinoso infortunio a un ginocchio. Che ne determina il precoce abbandono, ma pure il precoce approdo su una panchina. Quella del Monza, a 31 anni. E a Monza chiuderà il suo trentennal­e giro d’Italia.

TORO BIS Però la sua squadra del cuore rimane il Toro dove regna di nuovo dal 1984 al 1988, sfiorando subito un altro scudetto. Purtroppo per lui l’epilogo del 1985 vede l’amico di gioventù, Osvaldo Bagnoli, tagliare il traguardo col Verona dei miracoli. Che perde una sola gara in casa, contro il Torino, appunto, che finisce secondo. Uno scudetto te l’ha tolto il Trap, un altro Bagnoli: vatti a fidare degli amici, eh Gigi? Ma adesso ti stanno pensando con grande affetto e intensa emozione. Siine fiero, tedesco.

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In trionfo Gigi Radice campione d’Italia col Toro nel ‘76
 ??  ?? 16 MAGGIO 1976Il Torino pareggia in casa col Cesena e vince il 7° scudetto: Radice viene portato in trionfo
16 MAGGIO 1976Il Torino pareggia in casa col Cesena e vince il 7° scudetto: Radice viene portato in trionfo
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