Battisti già in carcere: l’ergastolo ad Oristano Ma restano decine di latitanti all’estero
●Il terrorista apparso rassegnato: «Stavolta è finita davvero» Polemiche per la presenza a Ciampino di Salvini e Bonafede
Il pluri-assassino trasferito a sorpresa in Sardegna nel penitenziario di massima sicurezza: isolamento diurno per sei mesi, aperta indagine sui fiancheggiatori. Accuse pesanti di Tajani, Renzi e Gentiloni: «All’aeroporto solo passerella per i ministri»
Le porte del carcere di Oristano si sono chiuse ieri alle spalle di Cesare Battisti, il terrorista dei Proletari armati per il comunismo condannato all’ergastolo per quattro omicidi, latitante da 37 anni e catturato in Bolivia dall’Interpol.
Il terrorista, espulso dalla Bolivia e subito estradato in Italia, è atterrato alle 11.37 sulla pista dell’aeroporto di Ciampino a bordo di un Falcon 900 del governo italiano, proveniente direttamente da Santa Cruz de la Sierra. Appena sceso dall’aereo,
senza manette, ha accennato un sorrisetto, poi è stato preso in consegna dal Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria e trasportato di nuovo in aereo a Cagliari da dove ha raggiunto il carcere di Oristano (inizialmente era stata indicata la casa circondariale di Rebibbia), non prima di una sosta all’ufficio immigrazione per il fotosegnalamento, dove Cesare Battisti ha lasciato scorrere le sue prime parole in Italia: «So che andrò in prigione». È apparso rassegnato, quasi come liberato da un peso: «Stavolta è finita davvero».
Ad attenderlo all’aeroporto il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, accusati anche di aver trasformato l’arrivo di Battisti in un set cinematografico.
Dietro ad un palchetto, con addosso un giacca della Polizia, Salvini ha detto: «Battisti è un assassino, un infame, codardo, marcirà in prigione. Chi sbaglia deve pagare». E Bonafede ha commentato: «Sconterà l’ergastolo senza possibilità di benefici. Questo è un risultato storico, se le istituzioni sono compatte non ci ferma nessuno». I due esponenti del governo sono stati accusati in giornata da esponenti di Forza Italia (in special modo dal presidente del parlamento europeo Antonio Tajani) e del Pd (Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) «di aver fatto solo passerella», nel frattempo il procuratore generale di Milano Roberto Alfonso ha confermato che le indagini sul conto di Battisti stanno proseguendo per individuare la sua rete di fiancheggiatori (è stata già aperta un’indagine esplorativa).
Alla scelta finale del carcere Oristano si è arrivati attraverso «una valutazione che abbiamo fatto, perché le condizioni particolari di sicurezza vengano garantite nel migliore dei modi», ha poi precisato il ministro Bonafede.
Lì, nel carcere «Salvatore Soro» di Oristano, aperto nel 2012, nessuno in effetti è mai riuscito ad evadere. E lì è stato detenuto fino all’estate 2017 anche l’ex terrorista Massimo Carminati (trasferito in seguito a Tolmezzo), condannato a 20 anni nel processo Mafia capitale: Battisti resterà in isolamento diurno per i primi sei mesi, così come previsto per i condannati all’ergastolo ostativo. Il pluri-assassino sarà collocato nel circuito di alta sicurezza riservato ai terroristi e avrà una sistemazione ad hoc.
Il premier Giuseppe Conte si è rivolto ieri ai familiari delle vittime di Battisti.
«È un grande risultato che dovevamo non solo in astratto perché avesse effettività la giustizia, ma lo dovevamo ai familiari delle vittime», ha spiegato Conte. E Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979 dai Pac in una sparatoria in cui lui stesso, allora quindicenne, rimase ferito perdendo l’uso delle gambe, si è detto disposto a incontrare Battisti per un confronto: «Se ci fosse la possibilità, non mi tirerei indietro».
E dalla Francia al Perù sono una quarantina le «primule rosse» ancora latitanti all’estero, ex terroristi o condannati per fatti degli anni di piombo, «rossi» e «neri», che l’Italia spera un giorno di riavere.
Ma sono quasi tutti da decenni in Francia, protetti dalla «dottrina Mitterrand»: due nomi eccellenti, Giorgio Pietrostefani, fondatore di Lotta Continua e condannato per l’omicidio Calabresi, e Narciso Manenti, a capo di un commando di Guerriglia proletaria che uccise il carabiniere Giuseppe Gurrieri nel 1979, hanno pure profili sui social network. Salvini ha spiegato: «Stiamo lavorando su altre decine di terroristi: su alcuni abbiamo già riscontri positivi, ovviamente non entro nel merito dei nomi e dei luoghi».