Da Plizzari a Pinamonti: la semifinale li ha trasformati in una miniera d’oro
L’uruguaiano della Salernitana: «Nel playout stessa pressione di una finale promozione. I tanti club? Se mi fossi fermato a Brescia...»
ruguay, Argentina, Spagna, Messico, Inghilterra, Romania, Paraguay e Italia. Otto Paesi e sedici squadre. Le ultime quattro: Benevento, Spezia, Ternana e Salernitana. Il giramondo è stanco di girare: Walter Lopez si gioca oggi il ritorno del playout a Venezia e poi vorrebbe chiudere la valigia.
Una carriera lunghissima, ma perché ha cambiato così tanto?
«Noi sudamericani ci fidiamo di quello che dicono i procuratori che ci portano in Europa».
E quindi?
«Ho avuto tante opportunità, tutte interessanti. Però...».
Però?
«A Brescia dopo la promozione del 2010 sarei rimasto: era il mio primo anno in Italia».
Infatti: è sempre arrivato a un passo dalla Serie A.
«Vero, la mia stranezza: l’ho conquistata anche col Benevento, ma non ci ho mai giocato. Non ho rimpianti, ma un po’ mi manca, specialmente quella di Brescia, uno squadrone. In attacco c’erano Possanzini, Caracciolo e Flachi. In quel momento ero anche nel giro della nazionale uruguaiana, la mia carriera avrebbe potuto svoltare».
E’ la prima volta che la sua squadra lotta per salvarsi?
«Sì, in totale ho vinto tre campionati in Italia, uno nella Serie C argentina col San Martin de Tucuman, uno in Paraguay con il Cerro Porteño e uno in Uruguay con il Peñarol. Ho sempre avuto obiettivi importanti, ma un playout non è diverso da uno spareggio promozione. Senti la pressione di una finale, ci vuole la testa giusta».
Com’è finito in Romania?
«Non lo so. Ho trovato stadi pieni, ma un calcio poco divertente».
3 In Inghilterra col West Ham.
«Un’esperienza importante grazie a Zola. Il calcio inglese è unico, non si fanno i ritiri, ma i giocatori sono professionisti al cento per cento».
Dove si è trovato meglio, Uruguay a parte? «Ovvio, l’Italia. Il mio Paese». Suo?
«Certo, mi sento italiano, ho altri due anni di contratto con la Salernitana. Ho la famiglia a Lecce e qui voglio fermarmi dopo aver smesso di giocare. Ho trovato grande entusiasmo un po’ dovunque, ma specialmente a Benevento con le due promozioni in due anni. E in Italia sono diventato un difensore completo: alla grinta di un sudamericano ho aggiunto la preparazione tattica che da altre parti non c’è».
La Salernitana ha perso le ultime 5 partite di campionato. Cos’era successo?
«Siamo finiti in crisi senza sapere bene perché, ci mancava solo una vittoria per salvarci».
Da Gregucci a Menichini, cosa è cambiato? «Intanto il modulo, siamo passati dal 3-5-2 al 4-3-3. E poi la squadra ha ritrovato un po’ di entusiasmo insieme con i tifosi. Che nella partita d’andata sono stati fantastici».
Dove preferisce giocare?
«Terzino sinistro nella difesa a 4 o esterno di centrocampo con la difesa a 3. Ho provato solo una volta a fare il centrale ma è stato un episodio».
La preoccupa il malumore (eufemismo) di Joe Tacopina per il rigore non dato nella gara d’andata? «Sono cose che accadono, a Venezia sarà una battaglia».
Ha cominciato la stagione con la Ternana in C e in C potrebbe chiuderla.
«Speriamo di no, la salvezza sarebbe il modo migliore per festeggiare la salvezza».
Il tecnico che le ha insegnato di più? Non dica tutti perché non vale.
«Jorge Fossati con il quale ho vinto il campionato in Uruguay con il Peñarol, poi Fabio Gallo che ho avuto allo Spezia. Bravissimo: tra 2-3 anni lo vedo in Serie A. E non dimentico Auteri a Benevento. Ha un modo particolare di allenare, a cominciare dai gradoni, che usa solo lui. E Zeman».
Il modello?
«Da ragazzo, Paolo Montero, uno tosto. Ho visto che è il nuovo allenatore della Sambenedettese. Bene, merita di lavorare in Italia».
E oggi?
«Ho solo l’imbarazzo della scelta. Dico Marcelo».