La Gazzetta dello Sport

Il meglio, alla fine: con lui la classe fa 90’

Cristiano in carriera ha segnato 37 volte nel recupero. E Sarri è primo grazie ai finali

- Di Luca Bianchin

Scena: minuto 93’35’’ di Juventus-Genoa, Ronaldo ha l’ultimo pallone sul lato destro dell’area e viene da 93 minuti e 35 secondi francament­e dimenticab­ili. Senza mezzi termini, ha giocato male. Ha inciso poco e ha sbagliato un gol non da lui, di testa davanti a Radu. Eppure ha la lucidità (e la furbizia) di entrare in area, forse di pensare che Sanabria potrebbe rovinare la serata a tutto il Genoa facendo fallo con la gamba destra. A quel punto, quando l’arbitro fischia, quasi nessuno ha dubbi che Ronaldo calcerà il rigore, lo segnerà e Juventus-Genoa finirà 2-1. Già visto troppe volte.

Fisico e mente

Cristiano Ronaldo e Messi sono speciali anche perché giocano meglio degli altri nei momenti decisivi. CR7 in carriera ha segnato 702 gol e 37 sono arrivati oltre il novantesim­o, nei minuti di recupero. Messi ha fatto anche meglio: 40 gol. Sono tanti. Recentemen­te Cristiano ha provato a dare una spiegazion­e a «Non ho soltanto la testa, ma anche il fisico per segnare alla fine delle partite, quando conta. So che in generale segno più nel secondo tempo. Controllo di più la parte iniziale delle partite, senza spingere al massimo, e accelero dopo l’intervallo». Insomma, la questione sarebbe doppia. In parte fisica - e Ronaldo, che ha il culto del suo corpo, lo fa notare sempre con piacere - e in parte mentale, controllo della partita.

Jordan e Federer

I campioni in effetti hanno la capacità di orientare le partite e questa è una questione trasversal­e, negli sport individual­i e di squadra. Il controllo dei finali che aveva Michael Jordan era difficilme­nte spiegabile e lo stesso è successo con Kobe Bryant, con LeBron James, con altri sportivi. La statistica per cui Federer, Nadal e Djokovic nel 2018 hanno vinto il 54-55% dei punti (non il 60, forse il 65% come saremmo portati a pensare) significa che quei tre fanno la differenza soprattutt­o nei momenti importanti. Ronaldo è uno di loro e la Juventus lo sa dall’aprile 2018. Ritorno dei quarti di Champions, a Madrid rigore con maxi polemica trasformat­o contro Szczesny, entrato dopo l’espulsione di Buffon. Se metti quello all’incrocio, il Genoa è un problema relativo.

Solskjaer e Aguero

Nel librone dei finali epici, Real-Juve trova un posto e chi vuole ipotizzare una classifica si diverta, ma non dimentichi la finale di Champions ‘99 tra Man United e Bayern, City-Qpr del 2012 che portò la Premier a Mancini e neppure Barça-Psg 6-1 del 2017, decisament­e oltre il confine del razionale. Le parPlayers’ tite della Juventus di questa stagione ovviamente non reggono il confronto, ma una tendenza al pathos si nota. Non è solo CR7 a decidere le partite nel recupero, è la Juve che fa la differenza in extremis.

Koulibaly e Cardiff

Un po’ è dna («fino alla fine» non è scelto per caso), un po’ incapacità di chiudere le partite. In campionato, la Juventus ha preso quattro punti all’ultima azione: due mercoledì, due con Juve-Napoli, vinta, smarrita e rivinta con l’autogol di Koulibaly. Altre volte Sarri dopo il 90’ ha sofferto. Juve-Verona e Juve-Bologna sono finite con due traverse, una di Veloso e l’altra di Santander, poco prima dei tre fischi. Qualche centimetro più in basso e con quei palloni se ne sarebbero andati quattro punti. Rileggendo tutto questo, viene in mente una frase detta da Marcelo a “The Tribune”, su Ronaldo e la finale di Cardiff con la Juve: «Quando stavamo per andare allo stadio, Cristiano ci disse esattament­e come sarebbe andata: “All’inizio sarà difficile, ma nel secondo tempo vinceremo facilmente”. Non lo dimentiche­rò mai». Anche quella volta, secondo tempo.

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