San Siro? Qualcuno dovrà “parlargli”...
Non sono di Milano, ma da Novara, la mia città, a San Siro ci sono poche decine di chilometri, che mi hanno consentito un’infinità di partite viste della mia Inter. Ho letto le notizie degli ultimi giorni, ma fatico a comprenderne significati e sviluppi: se il Meazza resterà in piedi a che cosa servirà e a quali costi per la comunità? Adalberto Mussini L’argomento mi tocca in modo particolare perché sono cresciuto all’ombra del «secondo stadio più bello del mondo» (The Times, 2009) e di «uno dei simboli della città, insieme al Duomo e alla Triennale» (Camera di Commercio e Università degli Studi di Milano, 2014). Scuola materna in via Stratico, elementari in via Paravia, liceo in via Monreale, casa in via Albertinelli, primi passi professionali negli ippodromi, nello stadio stesso e nel Palalido: se localizza sulla mappa le mie tappe di vita, le troverà a pochi passi dal Meazza. In questo caso sono molto di più che un addetto ai lavori, soprattutto dal punto di vista affettivo. Mi permetto allora di dire che se questo impianto, molto vicino al secolo d’età, è ormai un malato terminale, bisogna che qualcuno lo comunichi innanzitutto a lui, a cui va garantita una fine vita dignitosa, e ai suoi parenti, che poi siamo tutti noi, pubblico di contribuenti e di innamorati.
San Siro ha diritto a sentirsi dire la verità: a 94 anni può sopportarlo. Finora non mi sembra che sia accaduto. Lasciarlo in piedi così com’è, con Milan e Inter che giocano altrove, equivarrebbe a imbalsamarlo: una follia dal costo sociale insostenibile e anche un po’ macabra. Ma pure una demolizione parziale (ammesso che sia possibile) o totale richiede tempi ed esborsi che sarebbe bene conoscere davvero, anche se non serve un esperto per dire che i primi saranno lunghi e i secondi molto ingenti. Il Comune per ora si barcamena e va compreso: la “pubblica utilità” non può essere limitata solo ai due grandi club ma
a tutti i cittadini. Di certo il vegliardo infermo è a suo (cioè nostro) carico.
Quanto agli stadi «che vivono 24 ore su 24, sette giorni su sette» e quindi producono enormi utili, prenderei un po’ le distanze dall’oratoria architettonicogestionale, avendone visitati decine in tutto il mondo: mi pare che la maggior parte degli utili, almeno nelle proposte italiane di cui siamo a conoscenza, li si aspetti piuttosto dalle famose volumetrie collegate, a suon di centri commerciali, alberghi e via edificando. Del resto in questo campo il business si appoggia su soluzioni molto creative: quella di uno stadio di proprietà in comune fra due società di grande respiro europeo non s’era ancora mai sentita. Un castello bifamiliare, per così dire, che dovrà produrre non una ma due cascate d’oro. E anche su questo sarebbe utile saperne un po’ di più.