WASHINGTON EROI DI DIAMANTE E LI CHIAMAVANO VECCHI E PERDENTI
Battuta Houston 4 volte su 4 in trasferta: primo titolo. E a maggio stavano per smobilitare...
Se non è stato un miracolo, a Washington si sono attrezzati bene per compierlo. O il patto col diavolo, ai Nationals è riuscito davvero bene nelle World Series in cui per la prima volta nessuno ha mai vinto in casa: 7 volte su 7. La capitale ha potuto liberare la gioia mercoledì notte cantando sotto la pioggia mentre gli eroi finivano il lavoro a Houston, definivano il combattimento contro gli Astros battuti 4 volte su 4 in trasferta nel diamante texano dove il gelo è calato all’improvviso, dopo il 6-2 di gara-7. La bella ha consegnato le World Series a una città che non le conquistava dal 1924, quando la squadra si chiamava Senators e non Nationals: la franchigia arrivata da Montreal nel 2005 e fondata nel 1969 ha chiuso il gap e ha consolidato la tendenza di un anno, il 2019, caratterizzato dalle «prime volte» anche in altre 2 grandi leghe come basket e hockey ghiaccio, con Toronto (Nba) e St. Louis (Nhl). Curiosamente gli sport nei quali Washington aveva vinto prima del baseball: nel 2018 con i Capitals sul ghiaccio e con le Mystics nel basket femminile.
Che stagione
I Nationals parevano condannati a rimanere perdenti anche stavolta, hanno ribaltato il destino prima nella stagione regolare da maggio, poi nel più incredibile ottobre (il mese dei playoff) che si ricordi nel baseball. Il 24 maggio la squadra viaggiava con un bilancio di 19 vittorie e 31 sconfitte e il proprietario Mark Lerner discuteva in famiglia se licenziare il capo allenatore Dave Martinez. Il sito statistico che monitora l’andamento del campionato consegnava ai Nationals appena l’1.5% di possibilità di vincere il titolo. «Ma è stato tutto strano come questo sport, e forse doveva andare così» dirà Ryan Zimmerman, il prima base anima fedele del team dallo sbarco a Washington. È andata con la qualificazione all’ultima giornata della prima fase per lo spareggio contro Milwaukee: una partita secca da dentro fuori. Vinta. È andata con le Division Series vinte alla quinta decisiva partita a Los Angeles contro i Dodgers respinti con un grande slam. Serie ribaltata e vinta. È andata con un cappotto nella finale della National League contro i St.Louis Cardinals. Vinta anche questa serie. È andata con le World Series senza fattore campo come mai successo prima. In tutte queste serie a mettere la manina decisiva è stato un trentaseienne come Howie Kendrick che stava «pensando al ritiro» con i tendini malmessi e operati, presentatosi ai test della stagione con poche certezze. Ma Martinez gli ha dato fiducia e lui l’ha ricambiato risultando decisivo e produttivo nelle cifre. «Ho avuto un gruppo di giocatori, anzi di lottatori, resilienti e inarrestabili» tra i quali sono emersi gli «Old guys», i vecchi come i lanciatori trentacinquenni Zimmerman, Max Scherzer e Anibal Sanchez, un altro trentaseienne come il ricevitore Kurt Suzuki, il rilievo quarantaduenne Fernando Rodney, attorno ai quali spiccava il fenomenale terza base Anthony Rendon (in partenza), 34 fuoricampo tanti quanti quelli realizzati dall’esterno sinistro Juan Soto, che abbassava la media età del team più «anziano» delle Major League, avendo appena compiuto 21 anni e trascinando la squadra con altri 5 fuoricampo nei playoff.
Riscatto da Mvp
In un team affiatato e mai arrivato fino in fondo in questi anni, è come se fosse arrivata l’ultima chiamata per un lanciatore di lungo corso come Stephen Strasburg, che neanche i troppi infortuni in carriera hanno potuto fermare. Il californiano non poteva coronare meglio la sua (e della squadra) stagione di grazia diventando il lanciatore vincente di gara-2 e gara-6 e alla fine l’Mvp della serie. «Avevamo toccato il fondo, ma una partita alla volta abbiamo imparato cose che non sapevamo fare prima e siamo riusciti a trionfare: adesso anche se ci prendete a pugni non ci sveglieremo, è successo qualcosa di surreale, perché vincere così è davvero speciale». A ottobre, quando contava, le peggiori sensazioni del gruppo si sono dissolte magicamente per tramutarsi in estasi e la gente di Washington s’è sentita finalmente orgogliosa di questi Nationals, ai quali ora manda tanti complimenti il presidente Donald Trump («Fantastica gara-7»). Scherzer, che domenica è rimasto bloccato da un infortunio muscolare, s’è rimesso in piedi in due giorni e ha contribuito alla vittoria nella bella: «Il nostro motto è sempre stato, “rimaniamo nella lotta”». Perché l’importante era «vincerne finalmente uno di titoli».
Stanchi di flop
Non volevano più perdere i Nationals al primo turno, com’era successo negli anni scorsi. Un gruppo motivato, in cerca di riscatto. Cosa che forse non ha capito Bryce Harper, che ha lasciato i Nationals nel 2018 per andare a Philadelphia in cambio di 330 milioni di dollari. «Dateci un po’ di speranza, dateci un po’ di fiducia» raccontava l’interbase Trea Turner. Perché i Nationals stavano costruendo un’impresa epocale. In tante prime volte di queste finali, non poteva mancare quella di una squadra wildcard che elimina le più forti, quasi un modo di conquistarsi la fiducia ogni partita e di meritarsela soprattutto da una città diffidente e spesso divisa non solo nella politica ma anche nello sport, rimasta per 33 anni senza baseball. Dopo che i Senators se n’erano andati proprio in Texas per diventare Rangers. Ora nessuno di questi eroi vuole andare più via da Washington.