La Gazzetta dello Sport

Atalanta-City, 4 motivi per sentirsi più ricca

Classifica, difesa, recupero palla, mentalità: così si è «liberata». E ha spostato i suoi limiti

- di Andrea Elefante

Èmezzanott­e passata già da un po’: nella sala stampa di San Siro l’adrenalina ha già sconfitto da un po’ i rimpianti, battuta a sua volta da un senso di calma che per una notte, una sola, ha il sapore dell’appagament­o. Allo stesso tavolo delle conferenze dove otto anni fa friggeva senza darsi pace per una sconfitta dell’Inter con il Trabzpnspo­r, Gian Piero Gasperini «pesa» con lo sguardo ben più disteso lo storico pareggio con il Manchester City. Non lo definisce così, ma è come se: un patrimonio. Perché da mercoledì sera, fino a prova contraria, l’Atalanta si può sentire più ricca. In Europa e anche in Italia. Per diversi motivi.

Avanti, per esperienza

Il primo lo racconta la classifica ovviamente. Che non è l’unica cosa che conta, ma dall’altro ieri sera conta un po’ di più. Grazie a quel punto (vedi qui a fianco) l’Atalanta può ancora sperare negli ottavi di Champions o altrimenti nell’Europa League, «e sarei contento se i ragazzi potessero giocarla, per aumentare il loro bagaglio di esperienze». Negli occhi del tecnico la voglia che aveva da poco respirato nello spogliatoi­o: la sera del 26 novembre, ci si può già preparare, «sarà una partita senza margini». Né di calcoli, né di errori.

Il discorso dopo 45’

Secondo motivo: il messaggio che il tecnico ha trasmesso alla squadra nell’intervallo è passato alla grande. Gasperini ha raccontato di aver detto: «Il nostro massimo è un po’ più in là». In campionato era stato già toccato, o almeno sfiorato: in Champions ancora no. O comunque non il massimo che si è visto nel secondo tempo, il massimo che ha fatto credere all’Atalanta addirittur­a di poter vincere: detto come constatazi­one, prima che come rimpianto «per non aver avuto un pizzico di malizia in più, anche per disabitudi­ne». E’ successo, ha spiegato il tecnico con l’orgoglio di chi fa della sfrontatez­za uno status, quando «abbiamo tirato fuori il coraggio di chi non ha nulla da perdere e abbiamo smesso di avere troppo rispetto calcistico per il City». Se serviva, una conferma: è l’Atalanta solo se ha la faccia tosta, quella di giocare il suo calcio a prescinder­e.

Squadra «stappata»

Terzo motivo: la sensazione trasmessa dalla squadra - netta, quasi improvvisa - di essersi come «stappata». Due volte: prima per versare in campo tutte le sicurezze mentali e di gioco che in quel primo tempo e più in generale in Champions erano rimaste ingabbiate, o espresse senza quella continuità; e poi, spera il tecnico, per raccoglier­e in futuro il frutto di nuove consapevol­ezze. Per questo Gasperini ha profetizza­to: «Siamo testardi, ma poi impariamo: questa partita ci aiuterà». Intendeva nelle prossime due gare europee, ma anche in campionato. E se quello di San Siro è stato un altro step-svolta, si capirà già domenica a Genova.

Difesa e «recupero»

Quarto motivo, il più pratico. Al tecnico non serviva la partita con il City per capire che la sua squadra sta bene fisicament­e, al punto da non aver bisogno di fare cambi fino a 5’ dalla fine. Ma è servita per rivedere due capisaldi del suo gioco. Partendo da dietro: la solidità della linea difensiva, al di là della protezione del centrocamp­o, fotografat­a da un Palomino mostruoso, proprio lui che prima di mercoledì era scivolato più di una volta in errori gravi quanto determinan­ti. E poi l’intensità del recupero palla in mezzo al campo, «perché strapparla al City è necessario, altrimenti quelli ti fanno la testa come un pallone. Se invece li porti a giocare nella loro metà campo sono più umani». Che è come dire: non lo sono, ma li abbiamo costretti ad esserlo. Mica da tutti.

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