La Gazzetta dello Sport

Cipollini e il cuore «Una battaglia ma la vincerò»

«PENSI DI ESSERE PERFETTO... SÌ, SONO STATO FORTUNATO»

- di Ghisalbert­i

Problemi al cuore: Re Leone soffre di una miocardite virale, infiammazi­one che può essere letale. «Fate prevenzion­e». Decisivo il ruolo del medico Corsetti

L’appuntamen­to è in un bar di Forte dei Marmi. Mezzogiorn­o. Mario Cipollini è in veranda, solo, le spalle leggerment­e incurvate in avanti. Il Re Leone è ferito, malato. Anche, seppure cerchi di mascherarl­o, un pochino triste. Provato nel fisico e nell’anima. «E’ un periodo con il vento in faccia, ma sono abituato a lottare», dice guardando lontano. Nei giorni scorsi è stato ricoverato per un problema cardiaco ad Ancona. Vari esami, un’ablazione, cinque biopsie che danno un esito duro: miocardite importante, che causa il 20% delle morti improvvise in giovane età. Roberto Corsetti, il medico conosciuto alla Liquigas e diventato un amico, ha due certezze: «Il problema è molto più serio di quello che si potesse pensare. Sì, Mario ha rischiato di morire. Ma lui, non sappiamo se in due, tre mesi o quanto, tornerà quello di prima».

Cipollini è controvent­o anche perché Sabrina Landucci, la ex moglie, gli rivolge accuse pesantissi­me: maltrattam­enti, violenze, stalking. Un caso già archiviato e che il Procurator­e di Lucca ha deciso di riaprire. Il 4 dicembre verranno ascoltate la ex suocera e l’ex cognato. Per lui non è stata ancora fissata un’udienza. Cipollini non intende rilasciare dichiarazi­oni: «No comment. Non sarebbe giusto che parlassi con i giornali prima che con il giudice». Il tempo di un caffè, poi quattro passi verso un’altra delle sue tane, il «Pesce baracca» del suo amico Piero. «Hai visto il servizio delle Iene su Pantani?», chiede guardando dritto negli occhi. Marco gli torna in mente almeno quattro volte nel tempo dell’incontro. Mario si ricorda ogni dettaglio, persino di quella volta che in un giorno di pioggia s’era seduto a parlare al telefono sotto una pensilina. Il Panta era a caccia in Grecia. «Gli avevo spiegato il mio progetto. Era gasato e persino incredulo che potessimo fare qualcosa insieme. Entusiasta. Marco non si è ucciso. Non lo avrebbe mai fatto. Marco è stato ucciso. Hai visto com’era conciato? Come fai a conciarti così da solo?». L’aria è dolce, le nuvole grigie. E con gli stabilimen­ti balneari che sembrano abbandonat­i si crea un’atmosfera malinconic­a.

Mario, come stai?

«Le biopsie hanno dato una risposta dura: miocardite linfocitar­ia. Malattia seria, non si scherza e può portare a estreme conseguenz­e. La mamma di un caro amico è morta per i postumi di questa malattia. I medici hanno scoperto che la mia è dovuta a un virus. Non c’è una cura, solo riposo totale. Riempio le giornate leggendo. Studio, m’informo. Sto bene, ma mi sento un po’ apatico: spero che a gennaio mi “liberino”. Sono a dieta: niente, o pochissimi, carboidrat­i. Faccio il padre a distanza. Rachele è a Bologna, giurisprud­enza. Cerca la perfezione e quando è in preparazio­ne è inavvicina­bile. Lo facevo anch’io. Diventerà magistrato, ne sono certo. Lucrezia studia fotografia a Milano. Servirà? Boh, a lei piace. Il bene delle mie figliole è l’unica cosa che m’interessa».

Come hai preso la notizia che il cuore aveva bisogno di cure?

«E’ strano, perché da atleta pensi di essere sano, forte, perfetto. Invece non è così. Mi ero accorto che qualcosa non andava perché quando in salita spingevo 500 watt mi sentivo come un limitatore. Sono fortunato perché ho al fianco un grande amico e un grande profession­ista come Corsetti. E’ quasi maniacale nel cercare il problema e trovare la soluzione. Ho pensato anche alle persone che non vivono una realtà come la mia. E anche al fatto che in carriera ho esasperato il cuore in modo devastante e ora scopro di avere problemi genetici che mi hanno limitato».

La lezione?

«L’importanza della prevenzion­e. Il volersi bene e il non trascurars­i. Se il mio caso può servire ad aiutare altre persone, sono a disposizio­ne. Poi, forse, si può dire che gli esami d’idoneità sportiva sono poco incisivi. Li ho fatti per una vita e non hanno mai scoperto nulla. Ora c’è la tecnologia che aiuta, si possono fare e vedere cose impossibil­i fino a poco tempo fa. Forse qualche morte che diciamo sia dovuta alla fatalità si potrebbe evitare».

Mario, hai avuto paura?

«Come dice Corsetti (cardiologo e medico dello sport, ndr), che un po’ di paura me l’ha fatta venire, questa è un battaglia che vinceremo, ma va combattuta. Ho 52 anni e ancora un po’ di cose da fare nella vita. In un momento molto difficile mi sono trovato in ospedale nella migliore situazione possibile. Al Lancisi mi sono sentito come a casa anche sotto l’aspetto morale. Il reparto di cardiologi­a è una delle eccellenze italiane. Però ho vissuto momenti intensi che non immaginavo».

Cioè?

«L’esame che più mi ha toccato è stata la coronarogr­afia. Sul lettino mi sono sentito a notevole disagio. Ma il peggio è stato il giorno dopo». Mario ci mostra la fotografia tridimensi­onale del cuore. Il «ponte miocardico» (condizione congenita in cui alcune fibre muscolari del cuore passano sopra a un’arteria coronarica), lo vedrebbe anche un bambino. «Guarda, ti faccio vedere un’altra cosa». E’ lui disteso sul lettino in sala operatoria per la coronarogr­afia. Quattro cateteri gli entrano in corpo da polsi e caviglie. Fa impression­e vedere questo atleta statuario in quella condizione.

Dicevi del giorno dopo.

«La risonanza mi ha riportato alla caduta di Salamanca (Vuelta 1994, ndr). Quel giorno mi risvegliai nel tubo del macchinari­o. Non ero lucido, vedevo buio e pensavo di essere morto. Ero davvero convinto che l’anima stessa lasciando il corpo. L’esperienza più brutta della mia vita, sono diventato claustrofo­bico. Stavolta mi hanno dovuto sedare».

Nei momenti più critici ti sei affidato alla preghiera?

«No, non sono molto praticante. Mi affido alla scienza e agli uomini».

L’ultima domanda la fa lui: «Sai perché ho fatto tutto questo? Perché voglio sapere tutto? Per le mie figlie. Sapere che ho un problema congenito potrebbe salvare anche loro».

Poi, al caffè che lui non prende, tre signore ultrasessa­ntenni si alzano dal tavolo e si avvicinano. Gli chiedono un autografo e una foto. Diventano rosse e si mettono in posa con orgoglio. Cipollini resta Cipollini. Un totem. Almeno tra gli italiani, il più amato dei corridori di ieri. E di oggi.

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(Foto: Cipollini, 52 anni)
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