Dietro il Muro c’era la truffa più grande
Domani ricorre il trentesimo anniversario della caduta del Muro, dietro al quale si nascondevano anche grandi glorie e grandi misteri sportivi. Ma qual era il segreto del successo in questo campo della “Ddr”? Almerigo Fattai È stata, nè più nè meno, la più grande truffa della storia dello sport, fondata sul doping di stato, secondo programmi controllati dalla Stasi, famigerato servizio segreto di quella dittatura comunista. Dietro di sé ha lasciato una scia di infelici, condannati, proprio per l’abuso di ormoni, alle più diverse e gravi malattie. Si cominciò a sospettare alla fine degli anni 70, ma i tedeschi Est riuscirono a farsi beffe ancora per quasi tutti gli anni 80 delle nascenti e ancora timide normative antidoping.
Ne uscì fuori una potenza sportiva di mostruosa efficienza, capace di rivaleggiare, con poco più di 16 milioni di abitanti, e spesso battere nel medagliere olimpico colossi come Usa e l’allora Urss. In 32 anni (di cui solo 20 distinti dai tedeschi Ovest) i Ddr hanno vinto 568 medaglie ai Giochi, soprattutto in nuoto (in particolare femminile) e atletica, ma anche in canottaggio, boxe, canoa, ginnastica, slittino, sci di fondo, pattinaggio velocità. Avendo partecipato a sole 5 edizioni dei Giochi estivi, la Germania Est è tuttora al nono posto del medagliere assoluto. Una fabbrica a ciclo continuo. Ho cominciato presto a viaggiare e risiedere in
Germania Ovest, dove l’entità separata all’Est, ufficialmente chiamata Deutsche Demokratische Republik, veniva sempre preceduta dall’aggettivo “sogenannte”, cioè cosiddetta. E infatti la patente di democrazia era inesistente. Ricordo molto bene le visite sul confine: vedevamo dall’altra parte, dietro il filo spinato e la zona della morte, i “Vopos”, cioè i poliziotti della “Volks Polizei” con mitra spianati e cani lupo ringhianti. Questo il clima di guerra fredda che si respirava. E le autorità della Germania
Est, ignorata dai più nel mondo, decisero che la strada per farsi conoscere sarebbe stata lo sport, in una delle più impressionanti strumentalizzazioni mai viste. Ricordo un’inchiesta della Gazzetta del ‘74, con visita dell’inviato Marco Cassani: fecero vedere a lui e agli altri solo quello che volevano nel celebre Istituto centralizzato di controllo, quello per lo Sviluppo dell’Educazione Fisica di Lipsia (DHfK), parlarono delle loro campagne di reclutamento, dell’articolo 34 della Costituzione («Ogni cittadino ha diritto all’educazione fisica e allo sport»), dei loro impianti. Poi salutarono, chiusero le porte e continuarono nelle loro pratiche orrende e vietate, l’unico vero motivo di quei trionfi. Certo, in Finlandia, in Russia, negli Usa e in Italia il “doping scientifico” non è mai mancato, ma niente in confronto a quel meccanismo infernale e cinico, pianificato dallo stato.