Poco feeling con Gravina Pecoraro lascia la Procura
L’ex Prefetto si dimette, sette mesi prima della scadenza Il Consiglio aveva appena cambiato i suoi collaboratori
Dopo poco più di tre anni e sette mesi prima della scadenza naturale: già la tempistica rivela l’anomalia del gesto. Ma le dimissioni di Giuseppe Pecoraro dalla carica di Procuratore federale certo non arrivano inaspettate per gli addetti ai lavori. Lungi dall’essere un fulmine a ciel sereno, sono, anzi, l’atto finale di piccola una guerra fredda «combattuta» dentro e fuori la Figc sul ruolo dell’ex Prefetto, sulle sue indagini, sui suoi metodi. Ieri Gabriele Gravina, che ne aveva caldeggiato le dimissioni già qualche mese fa, lo ha ringraziato per «il lavoro proficuo svolto con reciproca soddisfazione in questi anni», ma non è un mistero che presidente e procuratore non fossero più in sintonia, e da mesi.
La vicenda
«Si è dimesso per ragioni personali», ha fatto sapere la Federazione. La vicenda scatenante, in realtà, è stata la nomina decisa dal Consiglio federale di due giorni fa dei cinque nuovi aggiunti della Procura federale. Nomine che Gravina ha voluto nell’ambito di una veloce riorganizzazione dell’ufficio del Procuratore, come già accaduto per la Corte d’appello e il Codice, e per sanare un’anomalia inserita nel sistema sotto la presidenza Tavecchio, cioè che Pecoraro disponesse di dieci aggiunti (poi scesi a nove), anziché i cinque previsti dallo Statuto federale. Già su questo punto le parti era
In sospeso I fascicoli aperti sulla nomina di Miccichè e le frasi di De Siervo
no entrate in attrito. Le nomine, poi, hanno convinto Pecoraro a fare il passo indietro meditato in questi mesi, innanzitutto perché – a suo dire – sono state fatte a sua insaputa, quando invece l’articolo 40 del Codice di giustizia del Coni prevede che sia richiesto un parere preventivo al Procuratore. Fatto sta che il Consiglio ha confermato solo due dei dieci vecchi aggiunti, «tagliando» alcuni dei suoi collaboratori più fidati. Un segnale di sfiducia per Pecoraro.
Il bilancio
Tre anni di indagini: tante, troppe, c’è chi sostiene che alcune siano state aperte con eccessiva spregiudicatezza. Un caso eclatante – i rapporti della Juventus con gli ultrà, la condanna di Andrea Agnelli –; un’attenzione particolare – non da tutti condivisa – sulla finanza creativa dei club, a cominciare dall’abuso delle plusvalenze; a volte poco coraggio sulle intemperanze degli ultrà. Bilancio? Qualche sonoro successo e qualche battuta d’arresto. Pecoraro si è approcciato all’ufficio della Procura federale con l’atteggiamento del super poliziotto, quello che in fondo è stato per tutta la carriera. Alla resa dei conti, non gli ha giovato. Si dice, si è sempre detto che sia stato messo lì da Claudio Lotito. Ma in realtà, pur non disconoscendo gli ottimi rapporti con il presidente della Lazio, la sua nomina fu concordata tra Giovanni Malagò e Carlo Tavecchio.
Gli scenari
Lascia in un momento particolare del calcio italiano. La tenuta delle istituzioni è messa a dura prova da lotte di potere assai poco nobili. Sul tavolo di Pecoraro c’erano tre faldoni molto delicati: il caso Miccichè, la multiproprietà di Juve Stabia e Trapani, l’audio rubato a De Siervo. Ora passano tutti nelle mani del vicario, Giuseppe Chinè. Fino alla nomina del prossimo Procuratore. Gravina ci sta già lavorando.