Sacchi contro Allegri ci vorrebbe un bel ring
Sarebbe un grande spettacolo, e non solo: anche un momento di pepata erudizione. Arrigo Sacchi contro Massimiliano Allegri: in tv o su carta, all’americana. Un giornalista arbitro, i due sul ring, non necessariamente metaforico, fino a esaurimento di circhi e armonie. E non più per interposto colloquio, Sacchi con Antonio Gnoli su «la Repubblica» del 23 novembre e Allegri con Mario Sconcerti sul «Corriere della Sera» di venerdì scorso.
Non siamo abituati, nello sport, ai faccia a faccia delle teste, ai dibattiti dei pensieri.
Per temperamento, o per ruffianeria, preferiamo la sfida a distanza, lontana, e dunque apparentemente più docile: da una pagina all’altra, da un salotto all’altro, come se il rumore dei nemici facesse paura, o come se il cozzo dei concetti «in diretta», con il rischio che sfuggano di mano, cadano per terra e si rompano in mille avverbi, potesse nascondere tranelli subdoli, blocchi improvvisi e non più governabili.
L’intento va oltre il «caro nemico ti scrivo». Insieme, lì: sul pezzo. Non a giorni alterni, come le targhe delle domeniche dell’austerity, e
Arrigo Sacchi
nemmeno all’ombra generosa della Var-rettifica. Arrigo di qua e Massimiliano di là, con i guantoni dei rispettivi catechismi, novanta minuti di serrato ping-pong, sorteggio per la precedenza e poi via, gong, domande e risposte a tutto gas. Sono tollerati gli slogan recuperati da Wikipedia e i falsi nueve (ma non le false coccole), sono graditi i sospiri austeri, i labiali maliziosi, i sorrisi allusivi. Purché ognuno racconti all’altro il suo mondo e confuti il mondo dell’altro. Pressing e catenaccio, fuorigioco e contropiede, il lessico che si usava prima che proprio Sacchi, con il suo Milan, lo sbranasse e il linguaggio che la Juventus di Allegri ha cercato di ristabilire. Gioco orizzontale e manovra verticale, strategia e tattica, creazione e gestione, l’importanza dell’allenatore e il peso dei giocatori. Non più attraverso i piccioni viaggiatori, ma di «corto muso» e senza muri, né quelli delle convinzioni né quelli delle convenzioni: liberi (o «centrali») di dirsi tutto, e spiegarlo a tutti. Perché il calcio «rimane la più importante delle cose meno importanti» (Sacchi), perché il calcio «gli è “scemplice”» (Allegri). Metà arte e metà riffa, con gli episodi sempre in agguato e i giudizi in bilico perenne fra Nasa e naso, la maieutica e il rombo, il coraggio e la prudenza. Gli Allegri «versus» i Sacchi di ogni disciplina e in ogni settore, affinché agli ambigui salamelecchi si possa sostituire la lectio incrociata. Non più cattedre separate, a zona, ma pulpiti stretti, a uomo.