BENVENUTO IBRA
Pioli: «Il club mi ha fatto un grande regalo Zlatan è insaziabile»
Porterà entusiasmo, dobbiamo essere bravi a sfruttarlo nel modo giusto
Zlatan è carico, non ha mai smesso di migliorarsi
Su Ibrahimovic Nuovo attaccante del Milan Parlare con i giocatori è l’aspetto più importante del mio lavoro: troppe volte ci si dimentica che sono dei ragazzi STEFANO PIOLI
tefano Pioli, cosa cambia nel Milan con l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic?
«Ibrahimovic è un giocatore insaziabile, ha carisma e non ha mai smesso di migliorarsi e di aggiornarsi. Porterà entusiasmo, esperienza e tanta voglia di fare. La proprietà e i dirigenti mi hanno fatto un grande regalo, adesso dobbiamo essere bravi a sfruttare Ibra nel modo giusto, non usarlo come scudo, come giustamente ha detto Boban. Per dimenticare la brutta sconfitta contro l’Atalanta serve un cambiamento di rotta radicale, nessuno vince da solo. Ibra è Ibra, ma noi dobbiamo imparare ad essere il Milan, acquisendo quella convinzione e determinazione che troppe volte è mancata. Ibra mi è sembrato carico, abbiamo parlato e continueremo a farlo perché dal dialogo nascono idee e soluzioni».
3Come sta il Milan? È arrivato al capezzale del malato, cosa che le è capitata spesso nella vita, e come l’ha trovato?
«Mi aspettavo situazioni critiche, ma ho trovato subito grande disponibilità da parte dei giocatori, grande compattezza nell’ambiente e mi sono sentito subito dentro un progetto. L’ho detto anche ai mei collaboratori, dopo un giorno mi sembrava di esserci da sempre. Una squadra molto giovane, con tutti i pro e i contro della gioventù, che stava cercando ancora una sua identità. Io sto lavorando per definirla. Bergamo è stata una battuta d’arresto ma abbiamo voglia di riscatto, dimostrare a tutti che non siamo quelli di Bergamo. Dobbiamo imparare dai nostri errori e saper portare questa cicatrice, perché anche i ricordi negativi possono trasformarsi in un’opportunità».
3Ricorda il discorso che ha fatto quando è arrivato?
«Ho spiegato il metodo di lavoro, i principi, le idee di calcio e soprattutto ho cercato di motivarli: se noi siamo al Milan significa che abbiamo dei valori e bisogna metterli sul campo, giorno per giorno».
Riassume i principi di gioco?
«Una squadra propositiva, che prova a fare la partita, prova a dominarla studiando bene le caratteristiche delle avversarie per costruire delle situazioni vantaggiose in entrambe le fasi di gioco. L’obiettivo è dominare la partita. Credo molto nella lettura degli spazi. Dobbiamo essere bravi, nella nostra fase offensiva, ad avere una squadra che abbia ampiezza e, soprattutto, profondità. Io non voglio dominare la partita per sentirmi dire a fine partita che ho avuto più possesso palla, mi importa poco. I due dati importanti della partita sono le occasioni avute o subite e i tiri fatti o subiti. Serve una squadra concreta, capace di occupare con intelligenza gli spazi in campo.
Io non divido un calciatore in destro, sinistro, alto, basso, io divido i calciatori in due categorie: intelligenti e meno intelligenti. Se hai a disposizione giocatori intelligenti è più facile giocare un certo tipo di calcio».
Trasferisce anche dei principi etici e regolamentari ai ragazzi?
«Assolutamente sì».
3Tipo?
«Buon senso e rispetto. Siamo tanti, lavoriamo insieme, il nostro è uno sport collettivo. In questi anni i giocatori sono diventati aziende individuali però, per lavorare bene, ci vogliono delle regole da rispettare collettivamente».
giocatori di oggi, anche per effetto dei social e dei telefonini, sembrano più solitari dei vostri tempi.
«Sì, ma non è colpa dei giocatori. È cambiata la società, il modo di porsi nei confronti degli altri, il rapporto padri e figli. Per questo io non credo più ai ritiri. Una volta i ritiri erano veramente aggreganti, noi giocavamo a carte, a biliardo, a Risiko, si stava insieme, si condivideva tutto. Tante volte negli alberghi non avevamo neanche la televisione in camera o c’erano tre linee di telefono e tu aspettavi il tuo turno... Adesso i giocatori stanno ciascuno con la propria PlayStation, con il proprio computer, con il proprio iPad. Parlano poco tra loro. Per questo io cerco di far stare insieme più tempo possibile i giocatori, senza telefonini. Quando c’è pranzo, cena, quando ci sono riunioni, i cellulari non vanno usati. Ma vedo che anche loro, una volta abituati, scoprono che è un modo per conoscersi meglio. Capiscono che il mondo non può essere racchiuso in Twitter o Facebook. Devi conoscere il compagno, l’allenatore, capire i loro pregi e difetti. Questo lo fanno le parole. Lo fa la vita vera, non quella virtuale».
3Nello spogliatoio usano il telefonino?
«Lo possono usare appena arrivati nello spogliatoio, nella prima mezz’ora, dopo, durante tutta la giornata, non più».
Esiste in una squadra la paura di vincere?
«La paura di vincere credo che non esista, però una squadra giovane non è così consapevole di cosa serva veramente per vincere. Vincono le squadre che hanno giocatori che invece hanno conosciuto e praticato la vittoria, l’hanno “imparata”. Per la squadra giovane può essere che arrivi più facilmente la paura di perdere».
3Ha trovato la squadra psicologicamente fragile?
«Onestamente l’ho trovata un po’ confusa, con situazioni non troppo chiare. Io sono un allenatore diretto, sincero. Ho idee chiare. Cerco e credo di riuscire a trasmetterle con la stessa chiarezza».
3Parla a tu per tu con i calciatori?
«Credo sia l’aspetto più importante del nostro lavoro. Ogni allenatore porta avanti le sue idee e la sua visione. Però credo che capire la situazione individuale di un giocatore sia l’aspetto più difficile del lavoro di tecnico. Io cerco di parlare tutti i giorni con tutti i miei giocatori. Il fatto di avere vissuto tanti spogliatoi anche da calciatore e avere ormai vent’anni di esperienza da allenatore credo che mi stia aiutando a capire quando è il momento di intervenire in modo duro, concreto o in modo più paterno. E credo che i giocatori ne abbiano bisogno, perché troppe volte ci si dimentica che sono dei ragazzi. Molti vorrebbero essere al loro posto, ma se loro sono qui vuol dire che se lo sono meritato, se lo sono conquistato. Ma comunque rimangono dei ragazzi di 20 o 22 anni con le loro fragilità. Noi guardandoli pensiamo solo al campo. Il campo è una parte importante ma poi
c’è il resto: la vita privata, le amicizie. Tutto questo condiziona il loro umore e la testa».
3In Italia quasi tutti gli allenatori sono centrocampisti. Salvo due eccezioni: Inzaghi che era attaccante e lei che giocava da difensore.
«Vero, però nel settore giovanile giocavo mezz’ala e sono rimasto in mezzo fino a un’amichevole con la Samp. L’allenatore del Parma, Marino Perani, visto che mancavano tutti i difensori mi chiese di schierarmi da difensore. Marcai Francis, giocai benissimo e da lì sono diventato difensore a vita».
3Però di testa è restato centrocampista...
«Fossi stato allenatore di me stesso mi sarei messo in mezzo. Difensore non mi è piaciuto, però mi vedevano lì...».
3Perché un centrocampista è più predisposto a fare l’allenatore? Perché vede tutti i momenti del gioco?
«Perché sa leggere meglio le situazioni offensive e difensive. Anche se non credo che sia così importante il ruolo dove hai giocato, per far bene l’allenatore. Sono la passione, la curiosità, la voglia di metterti in discussione e le conoscenze a formarti completamente. Non penso che giocare mezz’ala, terzino o centravanti o non aver giocato a certi livelli non ti possa permettere di arrivare ad essere un grande tecnico».
3Si potrebbe dire che chi non ha giocato, come Sacchi, Mourinho, Sarri, è più innovatore perché meno carico dell’esperienza di calciatore?
«Può essere, può essere una chiave di lettura giusta. Noi allenatori siamo degli studiosi ma è anche vero che inventare qualcosa di nuovo è difficile e per pochi. Quelli che ci sono riusciti sono sicuramente degli allenatori di altissimo livello».
3 In questa discussione tra giochisti e risultatisti, la sua idea di calcio dove si colloca?
«Io credo sempre che giocare meglio dell’avversario ti dia più possibilità di vincere. Però per vincere non serve solo giocare bene. Servono altre componenti caratteriali che un allenatore non può tralasciare».
3Chi è l’allenatore studiando il quale ha imparato di più?
«Per me il più bravo al mondo è Guardiola. Durante un periodo in cui ero fermo sono andato una settimana a Monaco a vedere i suoi allenamenti. Sono stato con lui a scambiare opinioni tutte le volte che finiva una sessione. Parlava con me come se fossimo fratelli o amici da sempre. Mi piace il suo modo di fare calcio, mi piace il suo modo di porsi».
3Il Milan ha compiuto centoventi anni. C’è un giocatore della storia del Milan che vorrebbe allenare qui a Milanello un pomeriggio? Gianni Rivera, Van Basten, Dino Sani...?
«Questa è una domanda trabocchetto. Ho avuto la fortuna di marcare Van Basten quando giocavo a Firenze. È l’attaccante più forte, più completo che io abbia mai marcato. Van Basten era cattivo, determinato, forte di testa, tecnico, veloce, era un centravanti fantastico».
3Il Milan sembra avere un serio problema, davanti.
«Abbiamo chiaramente un problema del gol. Però non penso che possa essere riconducibile solamente alla figura del centravanti. Dobbiamo diventare una squadra più concreta. È impensabile creare dieci occasioni da gol nitide e non vincere le partite. Stiamo andando al tiro con tutti i giocatori offensivi, i centrocampisti, i difensori. Basta pensare a Hernandez, che ha già fatto quattro gol. Tutti i giocatori che vanno alla conclusione devono pensare che quel pallone è decisivo per la vittoria».
3Che cos’ha Piatek?
«Io l’ho trovato non brillantissimo dal punto di vista fisico e quando non sei brillante dal punto di vista fisico, chiaramente non lo sei neanche dal punto di vista mentale. Adesso credo stia bene, secondo me sta facendo delle buone prestazioni. Ma è chiaro che tutti dal centravanti si aspettano i gol e quindi viene criticato quando non segna. Lo vedo meglio, in crescita rispetto a prima».
3C’è un giovane italiano che guarda con attenzione?
«Al di là di Chiesa che ho allenato e che penso possa diventare un giocatore veramente importante, adesso il giocatore che mi sta più impressionando per qualità e quantità è Castrovilli. Non pensavo potesse immediatamente avere questo impatto con la Serie A».
3Chi ama il calcio ha nella memoria l’immagine di Gianni Rivera col trench che prende la Coppa dei Campioni, la prima vinta da italiani che abbiamo visto in televisione nella nostra vita. Quanto ci vorrà perché qualcuno, magari senza trench, possa riportare la Coppa dei Campioni al Milan?
«Ci vorrà tempo. In questi anni si è cambiato molto. È una squadra che ha ancora tanti margini di crescita, che può far bene già in questo campionato. Ma dobbiamo essere consapevoli della posizione difficile dalla quale siamo ripartiti. Questa squadra, per tornare a quei livelli, nel futuro dovrà essere migliorata con degli innesti importanti».
3Ho visto che il Milan ha vinto la Coppa Italia Primavera. È così difficile in Italia per un ragazzo di 18-19 anni esordire in prima squadra? L’Italia non è un paese per giovani.
«Nei campionati esteri ci sono delle rose molto più ristrette. Se hai venticinque giocatori di prima squadra diventa veramente difficile far esordire dei ragazzi. Io sarei per avere una rosa di ventidue giocatori, doppi ruoli e basta. Poi quando ti mancano degli elementi prendi i ragazzi della Primavera. Quello che secondo me in Italia si fa fatica a capire è che più giocatori metti a disposizione dell’allenatore e più problemi crei. Perché ci saranno sempre giocatori meno motivati. Più spendi quantitativamente e meno hai la possibilità di mettere in prima squadra dei ragazzi giovani. Credo che il Milan abbia due o tre prospetti importanti nella Primavera».
3Da allenatore le manca di vincere qualcosa?
«Se dicessi di no sarei bugiardo. Ma vengono riconosciuti allenatori vincenti solo quelli che vincono scudetti o coppe. Io il più delle volte sono riuscito a ottenere l’obiettivo che ci eravamo prefissati le società ed io. Quindi sono stato un vincente, in quelle situazioni. Altre volte sono stato un perdente. Il secondo anno nella Lazio rimane il mio rimpianto perché avevamo costruito una cosa così tanto bella nel primo anno che non essere riuscito a portarla avanti rimane un cruccio. Ho intenzione di allenare ancora 10 anni, non di più. È chiaro che mi piacerebbe vincere».
3Non le sembra che il calcio italiano sia divorato dall’emotività? Sei un genio se vinci due partite e sei un cretino se ne perdi due. «In Italia ci facciamo condizionare troppo, siamo poco equilibrati nei giudizi e viviamo tutta la settimana che ci porta alla partita con troppa tensione. Questa è la grande differenza tra il calcio in Italia e fuori. Sono d’accordo con una dichiarazione che fece Sarri in Inghilterra: “In Italia ci facciamo la guerra durante la settimana per giocare la partita la domenica, in Inghilterra ci prepariamo durante la settimana per fare la guerra durante la partita”».
3Conte ha trasformato l’Inter. Quanto pesa un allenatore in una squadra di calcio? Percentualmente?
«Penso conti tanto. Io, da allenatore, riesco a vedere nei miei colleghi avversari quelli che incidono veramente e quelli che pesano meno. Quindi chi incide veramente è bravo».
3Dove pensa di portare il Milan a fine campionato?
«Più in alto possibile. Sono sempre stato una persona con i piedi per terra e sono persuaso che questa squadra non sarà una squadra di fenomeni, ma è una buonissima squadra».
3Si può andare in Europa?
«In questo momento non dobbiamo porci traguardi. L’obiettivo è vincere la prossima partita, riprendere bene dopo la sosta. Abbiamo un calendario difficile ma siamo il Milan. Non dobbiamo dimenticarcelo».
Ci vorrà del tempo per tornare a vincere una Champions Per arrivarci, serviranno degli innesti importanti STEFANO PIOLI