POZZOVIVO «COSÌ SONO RINATO HO VISTO LA MORTE IN FACCIA»
Il lucano inizia una nuova avventura con la sudafricana Ntt dopo l’incidente di agosto: «Per smontare il ‘castello’ di viti e placche che ho ci vorranno 2 anni»
Aun certo punto Domenico Pozzovivo si è messo a parlare con Domenico Pozzovivo. «Non proprio uno scenario reale, ma erano momenti, lampi. Dicevo a me stesso ‘Non valuti la possibilità che tutto quello che stai facendo ti potrebbe non servire?’». Ma adesso che le certezze hanno strappato il testimone ai dubbi, e i punti esclamativi soppiantato quelli interrogativi, con il 37enne scalatore lucano si può finalmente parlare di futuro sotto la luce dell’ottimismo, ma senza dimenticare — e d’altro canto sarebbe impossibile — il buio del recente passato. Domenico è pronto a iniziare l’avventura biennale con la sudafricana Ntt (World Tour, ex Dimension Data): il ritiro a Denia, Spagna, comincia giovedì, quindi neppure 5 mesi dopo il tremendo incidente in allenamento sulle strade calabresi del 12 agosto in cui aveva rischiato la vita.
3 Oppure è esagerato dirlo, Domenico?
«No, è così. Per la dinamica dell’accaduto mi sento un sopravvissuto, un miracolato. L’immagine che avevo di me stesso era molto simile a quella di Lambrecht».
3Bjorg Lambrecht, il 22enne belga morto al Giro di Polonia dopo una caduta in corsa appena una settimana prima.
«Ero in gara con lui e avevo visto il suo incidente molto da vicino. E ne avevo sentito il gemito, quando ero passato. Io sono volato sotto una macchina e siccome ero cosciente ho temuto di avere le stesse conseguenze a causa del trauma. Una emorragia interna, e salutare questo mondo. Avevo paura. Poi si è arrestata spontaneamente».
Non è stato il primo incidente serio della sua carriera. La caduta sullo Stelvio nel 2014 in allenamento per un gatto che le aveva tagliato la strada, o quella al Giro d’Italia 2015 in Liguria in discesa.
«Dell’incidente del Giro non ricordo nulla, quindi per me è come se non fosse mai successo. Quella volta sullo Stelvio avevo temuto per la carriera, a causa della rottura di tibia e perone. Non per la vita. Ad agosto per un minuto non ho respirato, buttavo solo fuori aria senza incamerarla».
3C’è una morale in tutto questo? Una lezione da trarre?
«Si passano periodi di sconforto, di nausea del mestiere. Di lamento dell’esistenza che conduci. Poi stai un mese a letto, 50 giorni sulla sedia a rotelle, dividi la stanza con chi sta peggio di te e relativizzi tutto. Pensi di più alle cose normali, e che la vita che fai è stupenda. Dai valore al fatto che ti asciughi i capelli da solo o che riesci a tagliarti una bistecca».
3Una persona meno razionale forse avrebbe potuto pensare: questi incidenti sono un segno del destino, meglio smettere?
«Nell’ultimo caso è stata una fatalità, la macchina mi ha ‘impattato’ nella mia corsia. Sarebbe potuto accadere anche se fossi stato a piedi, o in auto. Io in bici continuerò ad andare anche quando smetterò di correre, e rischierò ancora. In tema di sicurezza, ho letto l’intervista di Vittoria Bussi sulla Gazzetta e ha detto cose sacrosante. Manca educazione stradale, noi ciclisti siamo visti come abusivi sulla strada».
suo si può definire un recupero lampo. Come ha fatto?
«Dopo il primo ‘screening’ l’emoglobina era a 15 e con l’ultimo intervento era scesa a 7. Fratture esposte a ulna, gomito e omero sinistri; a destra, terzo metacarpo della mano, tibia e perone, sempre esposte. Faticavo a mettermi in posizione eretta sul letto, ma la resilienza del mio fisico mi ha sorpreso ancora una volta. Ho seguito delle tabelle che se le avessi condivise con i medici mi avrebbero dato del pazzo». 3E quando ha visto la luce in fondo al tunnel?
«Ero a terra, è stata una corsa contro il tempo. Ho viaggiato con un mese e mezzo/due di anticipo rispetto alle ‘prescrizioni’ ordinarie. A metà novembre ho fatto 6 watt per chilo in salita e mi sono detto che non dovevo più temere per il fisico. Prima di Natale sono arrivato a 6.3. Certo, devo continuare con fisioterapia e riabilitazione soprattutto al gomito. Ho ancora 4 placche tra avambraccio e omero, più una quantità di viti che non saprei stabilire. Per smontare tutto il ‘castello’ serviranno due anni».
Dopo due stagioni alla Bahrain-Merida con Nibali, l’ultima sfida è il biennale con la Ntt. Come è nato il contatto?
«La sfida era quella di tornare a correre e bisognava trovare qualcuno che l’accettasse. Nel team ci sono buoni giovani ma serviva gente d’esperienza e affidabilità per i grandi giri. Io capisco di non poter dare garanzie al 100 per cento. Ma il punto è che so di poter tornare il Domenico Pozzovivo di prima. Sì, ce la farò».