La Gazzetta dello Sport

Gonçalves il giorno dopo La Dakar è sotto shock

La morte di Paulo: Price in lacrime, l’amico Benavides disperato. Cerutti: «Piloti a pezzi, dovevano fermarci»

- Di Paolo Ianieri - INVIATO A WADI AL-DAWASIR (ARABIA SAUDITA)

La notte degli amici di Paulo è stata lunga. Gli occhi cerchiati di rosso, lo sguardo perso. Si cerca di tornare alla normalità, o almeno provarci. «Studiando il percorso, preparando il roadbook, parlando coi meccanici. Qualsiasi cosa che sia normale, pur di non pensare» racconta Matthias Walkner, l’austriaco della Ktm che con Paulo Gonçalves ha condiviso centinaia di giornate sulle piste della Dakar e del Mondiale Tutto Terreno. E che ancora non sa come reagirà quando all’alba dovrà tornare in sella per la nona tappa della Dakar dopo lo stop per lutto che le moto hanno osservato ieri. «La scelta è solo mia. Se mi sentirò male i primi chilometri o se penserò troppo, mi fermerò. Siamo umani. Ma se continuerò, sarà solo per Paulo». Chi si è fermata è stata la

Hero, la sua squadra, con Joaquim Rodrigues, cognato di Gonçalves, e Sebastian Buehler, che si sono ritirati, lasciando l’accampamen­to.

Kevin incredulo

Era amato da tutti, “Speedy”, e la sua morte al km 276 della tappa verso Wadi Al-Dawasir ha lasciato tutti con un senso di incredulit­à. Non voleva credere che fosse lui, Kevin Benavides, il pilota argentino che all’arrivo in Honda era stato adottato dal piccolo portoghese. «Al rifornimen­to Kevin voleva sapere di Rodrigues racconta Jacopo Cerutti -. Quando gli ho detto che era Paulo insisteva a dire che non era vero. Poi è scoppiato in ginocchio a piangere e a chiamarlo: “Il mio Paulo, il mio Paulo”. Io dico che il solo errore fatto dagli organizzat­ori è stato di non fermarci in quel momento. Perché tutti sapevamo, e farci finire la speciale è stato un grosso rischio visto il nostro stato d’animo». Racconta Benavides: «Ho visto una Hero per terra, Svitko vicino a un corpo, Price più lontano che piangeva, i medici che lavoravano, ma non mi volevo intromette­re. E quando sono ripartito, per tutto il tempo pensavo a come dire a Paulo di Joaquim. È stato al rifornimen­to del km 470 che però ho capito. Paulo era il mio migliore amico nei rally, il mio compagno anche ora che non lo eravamo più. E mi sono sentito ancora più male per non essermi accorto che fosse lui. Sono caduto e gli altri mi hanno aiutato a rialzarmi, poi ho pianto ciascuno dei 70 chilometri che restavano».

Ero lì per lui

«Mi sono disidratat­o dalle lacrime in quei 250 km» ha scritto Toby Price in un commovente saluto su Instagram. L’australian­o è stato il primo ad arrivare e tra coloro che hanno aiutato i medici a trasportar­e Gonçalves sull’elicottero. «Appena ho visto quel corpo immobile ho capito che era una cosa seria - racconta questo ragazzone imponente dall’aria tremendame­nte fragile -. Ho provato a far di tutto, a capire se ci fosse qualche segnale di vita, senza esito. E pregavo che arrivasse l’elicottero. Quegli 8 minuti sono stati lunghi un’ora. Anche Luc (Alphand; n.d.r.), quando è atterrato, ha provato a rianimarlo, poi ha tentato di consolarci. Alla fine non è colpa di nessuno, quando arriva il tuo momento non puoi farci nulla, e quello era il tempo di Paulo. Lui si era fermato per me nel 2017 quando mi ero rotto la gamba, e stavolta è toccato a me. Sono stato il primo ad arrivare e l’ultimo a lasciarlo, credo che fosse la cosa giusta da fare, almeno ero lì per lui. Però mi ci sono voluti altri 15’ per riuscire a tornare in moto».

Uomo squadra

Il giorno dopo è durissima anche per chi non è qui al bivacco, ovvero Martino Bianchi, che di Gonçalves è stato il capo in Speedbrain e poi alla Honda. «Il primo incontro avvenne nel 2012, gli feci i compliment­i per il campionato tedesco Cross Country vinto. E lui a minimizzar­e, perché Paulo era una persona modesta, oltre che gran lavoratore, attaccatis­simo alla famiglia. Si è sempre messo al servizio dei più veloci, era quello che, per quanto difficile, cercava sempre di far ragionare Barreda, anche se alla fine i risultati sportivi migliori li ha ottenuti lui. Ricordo le sue lacrime quando nel 2014, prima stagione in Hrc, gli si incendiò la moto. E fu lui ad accorgersi del potenziale di Brabec e Benavides. Con Kevin legò tantissimo, mettendosi spontaneam­ente al suo servizio. Ecco, Paulo era uno leale, corretto. E buffo. Amava prendersi in giro, con quella cuffia da puffo sotto il casco. E siccome era piccolo e non riusciva a salire in sella, partiva accelerand­o, un piede sulla pedana e via».

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IPP AFP EPA 1) Paulo Goncalves, 40 anni morto domenica nella 7a tappa; 2) I soccorsi dopo l’incidente; 3) Il portoghese in sella alla sua Hero: correva insieme al cognato. Il suo team ha deciso di ritirarsi 3
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Martino Bianchi con Paulo

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