Il tifoso ucciso in Basilicata La Procura: «Violenza tribale»
Dieci chilometri di strada su cui corre una storica rivalità. Il procuratore: «Tutto quanto era stato pianificato»
Eccolo, il cuore della tragedia. Questi dieci chilometri e spiccioli di superstrada in cui corre una storica rivalità calcistica che è diventata tragedia. La dinamica di quello che il procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio, definisce «un agguato teso con violenza tribale», viene illustrata in modo sempre più convinto dagli inquirenti. «Una tribù voleva sfidarne un’altra».
Agguato e reazione
La ricostruzione di quanto è accaduto nei pressi della stazione di Vaglio, il gruppo di tifosi della Vultur Rionero che attendeva il passaggio di quelli del Melfi diretti a vedere la partita della loro squadra in Eccellenza, forse per regolare un conto nato da una precedente rissa, il tentativo di aggressione e l’auto del tifoso del Melfi Salvatore Laspagnoletta che investe e uccide quello della Vultur, Fabio Tucciariello, impongono però di non fermarsi soltanto alla cronaca. C’è un colpevole invisibile in questa storia. E si chiama vuoto. Il “vuoto“che porta a generare un “pieno” feroce, come se la violenza fosse diventata un hobby con lo stadio lontano, lontanissimo, e la partita ridotta a un optional, a un soprammobile ininfluente, a un pretesto.
Scuole e Fiat
I volti della gente sono tesi, induriti dal freddo e dalle notizie. La sensazione che lega le due comunità è lo smarrimento. Perché i giovani finiti in carcere erano fino a ieri considerati ragazzi della porta accanto. «Un disastro» è il commento più diffuso davanti al bar Lazzarella dì Rionero. Una cittadina che con Melfi si mischia ogni giorno, a partire dallo stabilimento Fiat dove nascono 500X e Renegade. «E poi si va a scuola insieme, ragazzi di Melfi studiano a Rionero, e ragazzi di Rionero studiano a Melfi», dice il sindaco di Rionero, Luigi di Toro, che con il suo collega di Melfi, Livio Valvano, chiede «un atto forte, significativo, condiviso dalle squadre e dalle tifoserie». Anche per ricacciare indietro il fantasma delle ritorsioni.
Lo sport solo
Il vuoto dunque. Lo capisci quando si cerca un responsabile, un regista occulto della violenza. «Non c’è un cinema, non c’è un teatro, il Palazzetto è chiuso per lavori». «Non è questione solo di qui, sono i giovani abbandonati ovunque, partono in tanti e chi resta si sente frustrato». Carmine Massaro ha fatto l’arbitro per tanto tempo, trova un altro colpevole. «L’assenza totale di cultura sportiva. A partire da quello che succede su certi spalti con certi genitori». La Basilicata è quint’ultima nella classifica delle regioni per numero di praticanti per abitanti, gli iscritti alle federazioni sportive sono 35.739 per 782 società. Numeri che da soli dicono poco. Il problema è come si spalmano sul territorio, come sono capaci di riempire il famoso vuoto. Anche se lo sport da solo non può farcela.
Società dopata
La disamina di Donato Sabia, uno dei più grandi talenti dell’atletica italiana, due volte finalista olimpico sugli 800 metri, ancora oggi sui campi ad allenare, è spietata. «Purtroppo più si è vicini è più, paradossalmente, si odia. Ed e quello che è successo». Ma lo sport non dovrebbe essere un argine contro questa follia? «Questa spesso è retorica. Basta pensare al doping, abbiamo una società dopata dove non si vogliono rispettare le regole, dove si ritiene giusto barare. Lo sport è lo specchio della società». Ma Salvatore Caiata, deputato di Fratelli d’Italia e presidente del Potenza, dice che un’altra strada è possibile. «Non c’è solo la violenza, ci sono le nostre iniziative che hanno riportato donne e bambini allo stadio. Non sono in grado di capire dove nasca questa follia, dico che si deve combattere duramente». Dove nasce tutto questo. Dove comincia. Ci raccontano che addirittura già dagli anni 30 le due tifoserie rivaleggiavano fuori e dentro gli stadi. Che quelli della Vultur sono gemellati con gli ultras del Potenza e quelli del Melfi con la vicina Lavello. Ma questo sembra la maschera sotto la quale ci deve essere qualcosa di più profondo. Don Marcello Cozzi è impegnato da anni con Libera in Basilicata. «Sì, è vero. Tutti i piccoli centri lucani, e non solo quelli lucani, vivono di noia, di giovani che si sentono abbandonati, di alternative sociali che non ci sono. Ma io esprimo una percezione. Perché gli arresti domiciliari si sono trasformati in carcere in una notte? Non vorrei che fosse il timore di infiltrazioni criminali, perché parliamo di uno dei territori a più alta densità criminale della Basilicata».
No al ritiro
Altre letture tendono invece a isolare l’accaduto. A non connetterlo a qualcosa di diverso da questo vuoto talmente grande da essere riempito dalla “pura follia” di cui parla il presidente del Coni, Giovanni Malagò. Il prefetto di Potenza invita le squadre a valutare la possibilità di un ritiro dal campionato. Ma il presidente della Vultur dice che questa possibilità non c’è. E Cosimo Sibilia, leader della Lega Nazionale Dilettanti, sottolinea che tutti ci dobbiamo interrogare sul perché, ma «è paradossale addebitare colpe alle società coinvolte, loro malgrado, nella vicenda». A Rionero in Vulture il primo cartello che si incontra dice «150 metri parcheggio ospiti». A Melfi, stessa cosa, parcheggio stadio ospiti quando ancora la città è lontana. Forse il calcio è troppo, ed è troppo solo. «Anche per noi adulti c’è solo la partita», si dice nel capannello di Rionero. Dove si piange Tucciariello, 39 anni, in una famiglia che ha già perso un figlio e che ora è travolta da un’altra tragedia. Laspagnoletta, il tifoso del Melfi che l’ha investito, avrebbe detto di essersi sentito terrorizzato, «circondato da decine di facinorosi mascherati e armati di bastoni». Davanti al bar dov’è in corso la discussione, arriva finalmente anche un ragazzo. Deve essere più o meno coetaneo dei 25 arrestati. Risponde categorico: «Che cosa ho pensato dopo la tragedia? Non ho pensato niente, ho soltanto pianto».
Tutti i piccoli centri lucani vivono di noia, di giovani che si sentono abbandonati, senza alternative sociali DON MARCELLO COZZI - LIBERA BASILICATA