La Gazzetta dello Sport

Il nostro nuovo calcio costruito dal basso

- Di Alessandro de Calò inguardabi­li. L’effetto

In Inghilterr­a la lotta per il titolo è già decisa dall’anno scorso. Il Liverpool ha preso il largo sul City e viaggia verso un trionfo in campionato che gli manca dal 1990. In Francia non c’è partita, il Psg è davanti: troppo più forte. In Germania c’è un mischione al vertice col vecchio Bayern che non riesce a imporre la sua legge, come nell’ultimo decennio. Ci sono analogie con la situazione della Serie A. Da noi, sappiamo, se la giocano in tre. Molto si deciderà in queste settimane, domani all’Olimpico con Lazio-Inter e poi il 1° marzo col derby d’Italia. Derby che coincide col Clasico di Spagna. Stesso giorno, orari sovrappost­i, e stesso peso in prospettiv­a sul possibile esito dello sprint per il titolo. Insomma, ci stiamo riavvicina­ndo al centro dell’Europa, all’élite del football. Non è solo una questione di risultati, di una Serie A che non ha più un verdetto scontato. Ho l’impression­e che si tratti di una tendenza, contraria alla deriva che ha spinto il nostro calcio verso la periferia dell’impero. La pigrizia del catenaccio, l’invasione di troppi brocchi, l’incapacità di sistema e di guardarci attorno per tenere il passo dei tempi stava spingendo il nostro calcio verso il baratro. Violenza in aumento, stadi svuotati, molte partite

Il gap verso gli altri big del calcio in Europa stava crescendo inesorabil­mente. Il punto più basso – come effetto – è l’esclusione dal Mondiale russo. Senza quello shock, forse Roberto Mancini non avrebbe potuto lavorare bene come ha fatto in Nazionale, rimettendo al centro la tecnica, i giovani, il coraggio e la capacità di giocare in attacco, anche in modo complesso, elaborato e premeditat­o. I risultati hanno premiato il suo calcio e ci hanno detto che giocare così è possibile, anche se siamo italiani. Senza di lui, non solo Zaniolo ma anche i vari Barella, Sensi e Tonali avrebbero fatto più fatica a diventare quello che sono, quello che abbiamo. Ci sono altri indicatori positivi. Stadi che si riempiono, qualità del gioco che migliora, voglia di progettare fuori dalla depression­e.

Ronaldo, acceso dalla Juve, sta funzionand­o come un circolo virtuoso. Lasciamo perdere i 18 gol nelle ultime 14 partite, e quel rigore se c’era o no. Oltre all’attualità contano i simboli, l’esempio, il si può fare. Così, in Serie A tornano i grandi tecnici – vedi Conte e Sarri – i vecchi campioni come Ibra e ne arrivano nuovi tipo Eriksen. Chiaro, non siamo il top del mondo. Dodici panchine sono già saltate, il vecchio vizio si accentua. Fabio Capello considera un po’ arretrato il calcio della A, quando dice che va di moda il Guardiola di dieci anni fa. Beh, grande rispetto per le idee di Capello: la battuta contiene un briciolo di verità, ma non credo sia questo il problema. Anzi. Costruire il gioco dal basso, tenendo la palla a terra, ci ha permesso di riprendere in mano la grammatica della tecnica. Conta farlo velocement­e e con coraggio, come insegna l’Atalanta. Che non è l’unica. Lo stile segna il percorso, poi i risultati saranno la chiave per aprire altre porte.

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Nuovi assi Christian Eriksen, 28 anni, è passato dal Tottenham all’Inter

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