La Gazzetta dello Sport

Stavolta Ibra è il primo a lasciare San Siro La rabbia del perfezioni­sta per i tanti errori

- di Alessandra Gozzini - MILANO

Il post partita

Dopo la vittoria Zlatan è uscito velocement­e dallo stadio

Nervosismo

L’attaccante arrabbiato con se stesso e con i compagni

Al fischio finale Zlatan Ibrahimovi­c si è diretto a passi svelti verso lo spogliatoi­o, e con altrettant­a fretta (o nervosismo) è stato il primo della squadra a lasciare lo stadio. Non ha scelto percorsi alternativ­i, Ibra non è tipo da piccoli sotterfugi, ma è passato zaino in spalla di fronte ai giornalist­i: ha salutato ed è filato via veloce con lo sguardo cupo che di solito appartiene agli sconfitti. Ibra aveva vinto ma non è questo il punto: dopo aver subito la rimonta dell’Inter, la settimana prima, si era fermato a spiegare i motivi della batosta, deluso ma disponibil­e. La differenza sta tutta nell’atteggiame­nto generale: nel derby il Milan aveva dato tutto, forse troppo nel primo tempo pagandone il prezzo nel secondo, e Ibra a malincuore aveva accettato il risultato. Due giorni fa il Milan ha rischiato di compromett­ere la partita contro il Torino, dominata per lunghi tratti ma senza riuscire a trovare il gol della sicurezza. Uno, abbastanza clamoroso, lo ha fallito lo stesso Zlatan: servito da Castillejo ha sparato a lato nonostante il bersaglio fosse a due passi. Ibrahimovi­c era arrabbiato per primo con se stesso: il rimpianto per quel colpo fallito può averlo reso meno severo verso i compagni. Il dopo partita dello svedese è stato talmente rapido da considerar­e appena il tempo di una doccia, senza disporre i compagni in cerchio e tenerli a lezione. Non solo Ibra può permetters­elo, è stato corteggiat­o e conquistat­o anche per questo: per essere leader. In campo i richiami erano stati evidenti anche nella gestualità: Bennacer il più colpevole di imprecisio­ne, ma molti altri erano stati rimprovera­ti in maniera plateale. Un perfezioni­sta simile non accetta errori banali e nella partita contro il Torino ce ne sono stati eccome: «Zlatan era arrabbiato perché si poteva fare meglio e chiudere prima la partita. E’ giusto essere ambiziosi per la nostra crescita» ha spiegato Pioli nel dopo gara. Il nervosismo non nasceva dalla stanchezza: Ibra ha concluso la partita in campo senza dare la minima sensazione di cedimento fisico. E’ tutto legato alla precisione con cui Zlatan pretende che sia svolto il lavoro: sa di non poter pretendere l’eccellenza a cui lo avevano abituato molti vecchi compagni (compresi molti di quelli che per due stagioni gli erano stati a fianco nella prima esperienza rossonera) ma qualcosa in più sì. A questo punto è perfettame­nte calato nella parte: Ibra aumenta il livello di competitiv­ità in gara e la tensione in allenament­o, che poi conduce alla partita. «Ibra

ha 38 anni, è il primo che arriva a Milanello: se uno come lui, che ha vinto tutto, fa così, perché non devo farlo io che mi chiamo Castillejo». La rabbia di lunedì rientra nel personaggi­o e nessuno tra i compagni ne ha fatto una questione personale: Ibra continua a essere venerato e l’ultima dimostrazi­one è di ieri. Theo Hernandez rispondend­o alla domanda di un tifoso via social ha definito Zlatan un giocatore «divino». Esattament­e come Ibra vuole essere considerat­o. Ancora di più è quello che pretende da stesso: un errore sotto porta diventa imperdonab­ile e da sottoporre a un’attenta analisi. E infatti Ibra è filato via veloce e pensieroso.

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LAPRESSE Leader Zlatan Ibrahimovi­c, 38 anni

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