All Star Game e Obama Che emozioni per 24 ore
Una magnifica sorpresa: il mio primo All Star Game è stato questo. Una sorpresa poterlo giocare. Una sorpresa incontrare Obama: ero preparato all’idea di potermi imbattere in qualche leggenda Nba, ma trovarmi a tu per tu con l’ex presidente degli Stati Uniti è stato davvero inaspettato. All Star Game significa anche questo: vedere Obama che ti viene incontro porgendoti la mano. «Da dove vieni? Dove giochi? In quale parte d’Italia sei nato?», mi ha chiesto colui che è stato il leader più potente del mondo. Prima di salutarmi nella mia lingua con un cortesissimo «Buongiorno». Il buongiorno l’avevo visto fin dalla mattina precedente, giorno della gara con Oklahoma. Viene da me il vicepresidente Griffin e mi dice: «Complimenti Nik, sei stato selezionato all’All Star Game». Siccome io e lui scherziamo spesso, non gli voglio credere. Quando capisco che è tutto vero, entro in un vortice emotivo pazzesco, un po’ per il brivido della notizia, un po’ perché ci sono da rifare tutti i piani. Non più partire per le Bahamas la mattina dopo, ma prendere il volo per Chicago la sera stessa. Da lì inizia una rapida sequenza, in perfetto stile Nba. Sbarco a Chicago alle 2,30 di notte, sveglia presto e dalle 8,30 in poi conferenza stampa, allenamento di gruppo, incontri vari, seduta di social e foto, pranzo al volo, trasferimento all’arena e partita. Finito tutto, posso tornare al programma originario e andare alle Bahamas. In valigia metto più cose del previsto: il grande entusiasmo del pubblico, la carica dei ragazzi con cui ho giocato, il clima di festa. Oltre, ovviamente, a quella stretta di mano che, fino a 24 ore prima, era impensabile.