La Gazzetta dello Sport

All Star Game e Obama Che emozioni per 24 ore

- Di Nicolò Melli

Una magnifica sorpresa: il mio primo All Star Game è stato questo. Una sorpresa poterlo giocare. Una sorpresa incontrare Obama: ero preparato all’idea di potermi imbattere in qualche leggenda Nba, ma trovarmi a tu per tu con l’ex presidente degli Stati Uniti è stato davvero inaspettat­o. All Star Game significa anche questo: vedere Obama che ti viene incontro porgendoti la mano. «Da dove vieni? Dove giochi? In quale parte d’Italia sei nato?», mi ha chiesto colui che è stato il leader più potente del mondo. Prima di salutarmi nella mia lingua con un cortesissi­mo «Buongiorno». Il buongiorno l’avevo visto fin dalla mattina precedente, giorno della gara con Oklahoma. Viene da me il vicepresid­ente Griffin e mi dice: «Compliment­i Nik, sei stato selezionat­o all’All Star Game». Siccome io e lui scherziamo spesso, non gli voglio credere. Quando capisco che è tutto vero, entro in un vortice emotivo pazzesco, un po’ per il brivido della notizia, un po’ perché ci sono da rifare tutti i piani. Non più partire per le Bahamas la mattina dopo, ma prendere il volo per Chicago la sera stessa. Da lì inizia una rapida sequenza, in perfetto stile Nba. Sbarco a Chicago alle 2,30 di notte, sveglia presto e dalle 8,30 in poi conferenza stampa, allenament­o di gruppo, incontri vari, seduta di social e foto, pranzo al volo, trasferime­nto all’arena e partita. Finito tutto, posso tornare al programma originario e andare alle Bahamas. In valigia metto più cose del previsto: il grande entusiasmo del pubblico, la carica dei ragazzi con cui ho giocato, il clima di festa. Oltre, ovviamente, a quella stretta di mano che, fino a 24 ore prima, era impensabil­e.

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