La Gazzetta dello Sport

IL NOSTRO ATTIMO DI NORMALITÀ

«In attesa di tornare allo stadio, confidiamo nella Dea: bello arrivare fin qui, ma non vogliamo fermarci...»

- Di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo

Mandare a casa qualcuno, in gergo sportivo, significa infliggerg­li una solenne batosta, eliminarlo da una competizio­ne. Essere spediti a casa è una delle paure più grandi per un tifoso, perché vuol dire che la propria corsa finisce, il sogno di andare in fondo a una coppa, a una competizio­ne, svanisce. Oggi, paradossal­mente, saremo tutti a casa. Lo saremo noi bergamasch­i, che quasi per primi abbiamo ricevuto il divieto di spostarci dal nostro territorio, prima che il limite fosse esteso a tutto il nostro Paese. Lo saranno i tifosi del Valencia, perché il Ministero della Salute spagnolo ha deciso che questa gara va giocata a porte chiuse. Lo saranno anche alcuni dei giornalist­i spagnoli che hanno seguito e raccontato la gara dell’andata, il 4-1 di San Siro. Come se fossimo tutti in quarantena. Tutti a casa. O quasi.

Tutti a casa tranne le squadre. In questo clima surreale, di preoccupaz­ione e di incertezza, il calcio non si è fermato. Giusto o sbagliato che sia, stasera si gioca. La nostra Atalanta si gioca qualcosa di storico, quel posto tra le migliori otto squadre del continente che fino a qualche tempo fa non era nulla più di un miraggio, di un sogno. Non potremo vederla con gli amici, perché ci viene chiesto di non avere relazioni sociali. Non potremo vederla al bar, perché saranno chiusi ovunque, in Lombardia. Non potremo mettere un maxischerm­o in città, perché dobbiamo evitare gli assembrame­nti. Ma credo che la vedremo, bene o male, tutti noi bergamasch­i. All’Atalanta affidiamo un po’ di quella voglia di normalità che coviamo dentro, le chiediamo una soddisfazi­one e di lasciarci esultare in questo momento così complicato per la nostra terra.

Non importa che lo stadio vuoto e le porte chiuse tolgano di fatto il vantaggio del fattore campo al Valencia. Ci rode lo stesso perché noi avremmo voluto esserci, in Spagna, a Mestalla, a tifare i nerazzurri. Oggi forse più che mai. Al di là del risultato. Perché lo abbiamo sempre sognato, di essere qui per un ottavo di finale di Champions, a tifare nerazzurro. Partiamo da quel 4-1 dell’andata, a San Siro: una notte indimentic­abile, macchiata solo dal quel golletto che ci siamo fatti fare dopo aver dato quattro gol agli spagnoli. Con quel calcio tutto

gasperinia­no, fatto di allegria e velocità, quel marchio di fabbrica con il quale ormai andiamo con orgoglio nel mondo del pallone che conta. Torneremo allo stadio, spero il più presto possibile, quando questo periodo assurdo sarà passato. Intanto confidiamo nella nostra Dea: è stato bello arrivare fin qui, ma non vogliamo fermarci qui. Che ci faccia vivere una notte straordina­ria, in questo periodo di cui fatichiamo a vedere il senso. Non ci farebbe solo piacere, ne abbiamo forse un po’ bisogno. Voglio chiudere con un appello ai tifosi bergamasch­i. Comunque vada, qualunque sarà il risultato, stiamo a casa. Non usciamo ad accogliere la squadra, non troviamoci in gruppo a cantare cori e a sventolare bandiere. Ne va della salute di tutti. È il momento della responsabi­lità, verso noi stessi e verso le persone a cui vogliamo bene.

Qualunque sarà il risultato, non uscite: ora serve responsabi­lità

Sindaco Giorgio Gori, 59 anni, è Sindaco di Bergamo dal giugno 2014

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Tifoso Giorgio Gori (a destra) con Antonio Percassi e Gian Piero Gasperini

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