commento di Monti
Si combattono da secoli, fin dai tempi di Federico Barbarossa, non si sopportano, se ne dicono e se ne fanno di ogni colore, e l’odio (perché, purtroppo, di odio si deve parlare in questo caso) diventa il minimo comune denominatore di un rapporto che spesso è sfociato nella violenza. Bergamaschi e bresciani sono come cani e gatti, sempre in lotta, sempre a discutere, litigare, offendersi. Il 9 maggio del 1993, dopo una partita al “Rigamonti”, scoppiarono incidenti che indignarono l’Italia intera: tifosi bresciani e bergamaschi si sfidarono in un’assurda guerra di strada, le aste delle bandiere come armi, ci furono feriti, anche gravi, e la polizia riuscì con difficoltà a riportare l’ordine. Restarono, di quel pomeriggio di follia, le immagini delle macchine bruciate sui marciapiedi, dei fuochi che i pompieri spegnevano a fatica, del terrore della gente perbene che, improvvisamente, si trovò catapultata in un clima militare. Tutte queste memorie, oggi, rimpiccioliscono di fronte alla grandezza e alla potenza di un gesto: sul ponte che divide Sarnico a Paratico, cioè la provincia di Bergamo e quella di Brescia, i tifosi della due squadre hanno steso uno striscione che è qualcosa di più di una proposta di armistizio. «Divisi sugli spalti, uniti nel dolore» vi è scritto. E sopra l’immagine di due giocatori, uno che indossa la maglia nerazzurra dell’Atalanta e uno che indossa quella biancazzurra del Brescia, uniti in un abbraccio. Il virus, tanto subdolo quanto terribile e violento nelle sue manifestazioni, sta facendo delle terre di Bergamo e di Brescia immensi cimiteri, il dolore che scivola lungo le strade deserte e bussa a tutte le case, non guardando in faccia nessuno, donne e uomini, ricchi e poveri,
Bergamo &Brescia
giovani e vecchi. E allora, in questo inferno che è diventata la vita anche il “nemico” di ieri può diventare un alleato assieme al quale combattere la paura. E’ come quando, nei rifugi, ci si stringeva e ci si faceva coraggio, mentre dal cielo piovevano le bombe e non si riusciva nemmeno a immaginare uno straccio di futuro. Quello striscione steso sul ponte, come se unisse ciò che la geografia ha diviso, ci dice invece che una via d’uscita esiste, che nemmeno l’odio è per sempre, che se si sta uniti, e ci si aiuta, le difficoltà diventano più sopportabili. Il calcio, che in passato è stato involontario strumento di violenza, diventa adesso un’ipotesi di salvezza. E se quelli di Bergamo e quelli di Brescia si mettono davvero insieme, e combattono con tutta la forza che hanno in corpo, loro che sono dei lavoratori instancabili, il virus smetterà di attaccare e, presto, sarà costretto a ripiegare di fronte alla reazione d’orgoglio di due popoli che, nel dolore, si sono scoperti fratelli.