L’addio a Mura Grazie Gianni maestro riluttante
La retorica lo disgustava più del vino cattivo e forse per questo, fra le sue molte abilità, c’era pure quella di comporre epitaffi - coccodrilli, nel gergo dei giornali - assolutamente sublimi che in genere chiudeva con un’elegante reminiscenza breriana: “La terra ti sia lieve”. Gianni Mura, morto ieri d’infarto a 74 anni, è stato un frammento importante della storia della Gazzetta, ma soprattutto un giornalista, e un uomo, inimitabile. Non un amico, piuttosto un conoscente venerato: chi scrive non s’è mai sognato di poterlo emulare, e non ci proverà ora. Il ricordo, a pagina 31 e sul nostro sito, è affidato a chi ha condiviso con lui anni di viaggi, emozioni, fatiche. Semplicemente, gli devo tre ringraziamenti e i lettori mi perdoneranno se glieli faccio in pubblico.
Il primo grazie è per avermi messo in mano (e talvolta sulla testa) una macchina da scrivere quando avevo appena 19 anni, al settimanale Epoca, che ora è polvere e ricordi nelle emeroteche. Un maestro riluttante, ruvido e terribilmente esigente. Lui era la star in una redazione scintillante di talento ed eclettismo, di quelle che solo un grande giornale al tramonto può permettersi. Eppure si applicava al giovane allievo come Ray Sugar Leonard al sacco da boxe: colpi duri ma talmente perfetti che persino il sacco finisce per ammirarli. E imparare qualcosa.
Il secondo grazie è per avermi tolto - complice Paola, la sua straordinaria compagna di vita quell’aria da stronzetto che ai tempi rivestiva gli aspiranti intellettuali come una seconda pelle, chiamandomi alternativamente “Cita”, l’accostamento è alla scimmia di Tarzan, o “Big Jim” con riferimento all’odiato imperialismo yankee. Il succo della lezione? L’esuberanza e lo zelo sono nemici del pensiero. Il lardo non è peccato. E Soriano è assai più istruttivo di Sartre.
Il terzo e ultimo grazie è per avermi insegnato con pazienza zen l’arte dello scopone scientifico, mai appresa fino in fondo, delle boccette, dei sapori antichi da osteria. E per avermi portato, come il babbo di Aureliano Buendia, “a conoscere il ghiaccio”. Che per noi novizi assetati di parole era Gianni Brera. Il guru delle iperboli acrobatiche, l’Omero del pallone e del pedale di cui Mura è stato unico e degno erede.
Un grazie infine glielo devono tutti gli appassionati di sport. Per aver raccontato, prima sulla Gazzetta e poi per decenni sulla Repubblica, miserie e nobiltà dei nostri eroi senza usare un aggettivo più del necessario. Per averci fatto capire che l’agonismo è storia e cultura, società e politica: si nutre dei valori che mette in campo e che non c’è partita più importante di quella giocata per una buona causa. Grazie Gianni, il coccodrillo ti sia lieve.