E ora riprenderà il suo viaggio col Carletto
Era appena finito il Tour del 2009, il primo che Gianni Mura aveva fatto senza mio papà, «il Carletto» come lo chiamava affettuosamente, costretto in extremis a rimanere a casa per una malattia che se lo sarebbe portato via poco dopo. Il Carletto non era solo il suo autista sulle strade francesi dal 1992, ma molto, molto di più. Un amico vero, quasi un fratello: complici e alleati. Quel Tour, Mura lo visse praticamente al telefono: tutti i giorni a sincerarsi sulle condizioni di salute del Carletto. Se lo faceva passare al telefono e ogni volta riusciva a trovare delle parole di conforto, sentite, mai banali, quasi sempre col groppo in gola, anche se tentava di trattenere quel vocione singhiozzante. Parlavano di ristoranti, di vini, di vita, mai della malattia. «Stu ben» gli diceva sempre mio papà in dialetto milanese, per cambiare discorso. E Mura, tranquillizzato, si proiettava già sulla Boucle dell’anno successivo, quella del 2010, sperando che il binomio si riunisse, anche se la partenza dall’Olanda non piaceva a nessuno dei due.
Legame
Appena rientrato da quel Tour di 11 anni fa, la prima cosa che fece Mura fu precipitarsi a casa di mio papà. Così, all’improvviso, senza avvisare, ancora con la valigia in mano. Suonò al citofono e al Carletto brillarono gli occhi. Li trovai in casa, loro due e Marco Pastonesi, altra firma storica della Gazzetta. Sdraiati sul divano, a bere lo Chablis che da giorni era in frigorifero: perché il Carletto, conoscendo Mura, inconsciamente si aspettava la sua visita. Li legavano tante cose: il senso della misura, il rispetto, le sigarette che annerivano la loro macchina, la leggerezza nell’affrontare qualsiasi argomento, ma soprattutto un concentrato di umanità che li ha resi inseparabili. Due anime nomadi, che ora riprenderanno il loro viaggio insieme.