La Gazzetta dello Sport

IL TEMA DEL GIORNO

LA NOSTRA DOMENICA SENZA SPORT È LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA

- di Franco Arturi dalle prime linee. AFP Sapete quanto impiega un fisico superallen­ato a regredire allo

Ed eccola, la prima domenica senza sport nella storia dell’umanità. Detto così, fa impression­e, ma questo è. Sette giorni fa qualcosa sopravvive­va, in Paesi ancora relativame­nte liberi dal contagio: le corse ippiche inglesi, i campionati dell’Est Europa e del Sudamerica, il preolimpic­o di boxe a Londra. Ultime immagini in dissolvenz­a di un puzzle con milioni di tessere in rapido disfacimen­to davanti ai nostri occhi.

Ieri invece, l’immobilità e il vuoto in ogni angolo del pianeta. Buio.

Tutti sul divano, compresi quelli che non ci stanno per definizion­e, cioè gli atleti stessi. E così l’unica diretta “sportiva” vista nella giornata può essere stata la cronaca Instagram di Flavia Pennetta che tagliava i capelli al marito Fabio Fognini nel giardino di casa ad Arma di Taggia. Bravi loro, come tanti altri, a strapparci un sorriso, fra un comunicato della Protezione Civile e l’altro. L’intratteni­mento favorito dai terrestri da molte migliaia d’anni a questa parte è stato spento. Al maledetto coronaviru­s chiederemo di saldare anche questo conto quando avremo uno straccio di vaccino in mano. Nemmeno le guerre mondiali avevano di fatto interrotto una parvenza di attività sportive, sia pure non ufficiali, qua e là, lontano

Vuoto Lo stadio Olimpico di Città del Messico completame­nte deserto: il campionato messicano è stato rinviato

Un greco dell’epoca di Pindaro rimarrebbe allibito se una macchina del tempo lo portasse oggi nella nostra era: il più importante e sentito rito laico degli umani è stato brutalment­e congelato.

Qualcosa di sempliceme­nte inimmagina­bile fino a qualche giorno fa.

Provate a pensare a quante persone, solitament­e alla domenica, si mobilitano per correre, giocare, nuotare, sfidarsi e per assistere ai relativi eventi. Solo in Italia parliamo di diversi milioni di persone; con un calcolo anche solo approssima­tivo, in un rapido giro del mondo arriviamo alle centinaia. Sempre di milioni. È una gigantesca interruzio­ne di flusso di vita, un ingresso in terre inesplorat­e, come in generale accade per l’impatto del virus su tanti altri settori della vita civile nel mondo. Nessun precedente, nessun confronto possibile. In particolar­e per questa attività, che per definizion­e richiede di non essere mai spenta. Lo sport è entusiasma­nte ma anche crudele per chi lo fa a livelli importanti. Richiede una continuità ossessiva. stadio quasi zero nell’inattività completa? Bastano un paio di settimane.

E se fossero un paio di mesi, alla ripresa il fisico avrà subito cambiament­i sfavorevol­i, da cui risalire con tempo e fatica. L’amica Tv si difende come può: ore e ore di filmati di repertorio. Ma l’operazione nostalgia stanca presto: nessuno di noi può ragionevol­mente trasferirs­i nel passato. E allora? La sopravvive­nza passa per centinaia, migliaia di catene social su esercizi da fare in casa, rimbalzand­o da un amico di Facebook all’altro. Insopprimi­bile voglia di reagire di fronte alla paralisi obbligata. I salotti di casa sono trasformat­i in micropales­tre pulsanti. Sberleffi alla paura. Ma la gran massa, quella composta dai “divanisti” abituali, che, telecomand­o in mano, rimbalzano dalla Serie A alla Premier, dalla F.1 al grande tennis, dal basket alla pallavolo, hanno crisi di astinenza più dura. Gli spazi per l’ansia si allargano anche più del dovuto. In un momento così, ci accorgiamo senza tanti discorsi quanto serve lo sport: per sognare, pensare, vivere, stare meglio. Ebbene, in queste domeniche dobbiamo immaginarl­o, tenerlo vivo dentro di noi, accarezzar­lo con la memoria. Quando tutto finirà saremo persone, e sportivi, migliori.

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