IL TEMA DEL GIORNO
LA NOSTRA DOMENICA SENZA SPORT È LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA
Ed eccola, la prima domenica senza sport nella storia dell’umanità. Detto così, fa impressione, ma questo è. Sette giorni fa qualcosa sopravviveva, in Paesi ancora relativamente liberi dal contagio: le corse ippiche inglesi, i campionati dell’Est Europa e del Sudamerica, il preolimpico di boxe a Londra. Ultime immagini in dissolvenza di un puzzle con milioni di tessere in rapido disfacimento davanti ai nostri occhi.
Ieri invece, l’immobilità e il vuoto in ogni angolo del pianeta. Buio.
Tutti sul divano, compresi quelli che non ci stanno per definizione, cioè gli atleti stessi. E così l’unica diretta “sportiva” vista nella giornata può essere stata la cronaca Instagram di Flavia Pennetta che tagliava i capelli al marito Fabio Fognini nel giardino di casa ad Arma di Taggia. Bravi loro, come tanti altri, a strapparci un sorriso, fra un comunicato della Protezione Civile e l’altro. L’intrattenimento favorito dai terrestri da molte migliaia d’anni a questa parte è stato spento. Al maledetto coronavirus chiederemo di saldare anche questo conto quando avremo uno straccio di vaccino in mano. Nemmeno le guerre mondiali avevano di fatto interrotto una parvenza di attività sportive, sia pure non ufficiali, qua e là, lontano
Vuoto Lo stadio Olimpico di Città del Messico completamente deserto: il campionato messicano è stato rinviato
Un greco dell’epoca di Pindaro rimarrebbe allibito se una macchina del tempo lo portasse oggi nella nostra era: il più importante e sentito rito laico degli umani è stato brutalmente congelato.
Qualcosa di semplicemente inimmaginabile fino a qualche giorno fa.
Provate a pensare a quante persone, solitamente alla domenica, si mobilitano per correre, giocare, nuotare, sfidarsi e per assistere ai relativi eventi. Solo in Italia parliamo di diversi milioni di persone; con un calcolo anche solo approssimativo, in un rapido giro del mondo arriviamo alle centinaia. Sempre di milioni. È una gigantesca interruzione di flusso di vita, un ingresso in terre inesplorate, come in generale accade per l’impatto del virus su tanti altri settori della vita civile nel mondo. Nessun precedente, nessun confronto possibile. In particolare per questa attività, che per definizione richiede di non essere mai spenta. Lo sport è entusiasmante ma anche crudele per chi lo fa a livelli importanti. Richiede una continuità ossessiva. stadio quasi zero nell’inattività completa? Bastano un paio di settimane.
E se fossero un paio di mesi, alla ripresa il fisico avrà subito cambiamenti sfavorevoli, da cui risalire con tempo e fatica. L’amica Tv si difende come può: ore e ore di filmati di repertorio. Ma l’operazione nostalgia stanca presto: nessuno di noi può ragionevolmente trasferirsi nel passato. E allora? La sopravvivenza passa per centinaia, migliaia di catene social su esercizi da fare in casa, rimbalzando da un amico di Facebook all’altro. Insopprimibile voglia di reagire di fronte alla paralisi obbligata. I salotti di casa sono trasformati in micropalestre pulsanti. Sberleffi alla paura. Ma la gran massa, quella composta dai “divanisti” abituali, che, telecomando in mano, rimbalzano dalla Serie A alla Premier, dalla F.1 al grande tennis, dal basket alla pallavolo, hanno crisi di astinenza più dura. Gli spazi per l’ansia si allargano anche più del dovuto. In un momento così, ci accorgiamo senza tanti discorsi quanto serve lo sport: per sognare, pensare, vivere, stare meglio. Ebbene, in queste domeniche dobbiamo immaginarlo, tenerlo vivo dentro di noi, accarezzarlo con la memoria. Quando tutto finirà saremo persone, e sportivi, migliori.