La Gazzetta dello Sport

Prima il Paese a posto

- Di Andrea Elefante

Tutto il senso dell’assurdo di questo incubo coronaviru­s che non fa prigionier­i, e dunque neanche differenze, sta in una frase di ieri del Papu Gomez. Che mai avrebbe immaginato di ascoltarla dalla sua voce, uscita così naturale, pronunciat­a di getto ai microfoni Sky, con la voce incerta e però netta. Proprio da lui che da anni intreccia calcio ed extra calcio, vita e mestiere, due mondi della stessa esistenza che forse mai, da quando gioca a pallone, si erano ritrovati così distanti. Estranei, in un certo modo. «Faccio fatica a pensare al calcio, in questo momento è l’ultima cosa che mi interessa».

La giornata tipo

L’ultima cosa che mi interessa: dice proprio così, e sembra assurdo per uno che vive di calcio. Ma è anche bello così: vuol dire che il calcio è vivo e lotta insieme a noi. Che è un pianeta abitato non da extraterre­stri, ma da uomini che fanno le cose che stiamo facendo tutti. Pensieri diversi dal solito, giornate tipo fatte di orari stravolti, abitudini ricondizio­nate come le batterie dei telefonini che sono sempre in carica: «Mi alzo alle 9: Bauti fa la scuola online, noi colazione, tv e computer accesi per le notizie, poi si svegliano gli altri

Lo confessa anche il Papu, e guardarsi alle spalle moltiplica lo sgomento, come ha detto al quotidiano argentino Olé: «Ai tempi delle due partite dei quarti di Champions non c’erano ancora molti casi: non conoscevam­o bene la gravità del contagio, che è stato sottovalut­ato.

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