Prima il Paese a posto
Tutto il senso dell’assurdo di questo incubo coronavirus che non fa prigionieri, e dunque neanche differenze, sta in una frase di ieri del Papu Gomez. Che mai avrebbe immaginato di ascoltarla dalla sua voce, uscita così naturale, pronunciata di getto ai microfoni Sky, con la voce incerta e però netta. Proprio da lui che da anni intreccia calcio ed extra calcio, vita e mestiere, due mondi della stessa esistenza che forse mai, da quando gioca a pallone, si erano ritrovati così distanti. Estranei, in un certo modo. «Faccio fatica a pensare al calcio, in questo momento è l’ultima cosa che mi interessa».
La giornata tipo
L’ultima cosa che mi interessa: dice proprio così, e sembra assurdo per uno che vive di calcio. Ma è anche bello così: vuol dire che il calcio è vivo e lotta insieme a noi. Che è un pianeta abitato non da extraterrestri, ma da uomini che fanno le cose che stiamo facendo tutti. Pensieri diversi dal solito, giornate tipo fatte di orari stravolti, abitudini ricondizionate come le batterie dei telefonini che sono sempre in carica: «Mi alzo alle 9: Bauti fa la scuola online, noi colazione, tv e computer accesi per le notizie, poi si svegliano gli altri
Lo confessa anche il Papu, e guardarsi alle spalle moltiplica lo sgomento, come ha detto al quotidiano argentino Olé: «Ai tempi delle due partite dei quarti di Champions non c’erano ancora molti casi: non conoscevamo bene la gravità del contagio, che è stato sottovalutato.