La Gazzetta dello Sport

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Samu Castillejo Bebe Vio

- Up never, never give di Alberto Cerruti

a tutti coloro che mi scrivono e non mi fanno sentire “solo”, non è facile stare lontano dalla famiglia, soprattutt­o in questi tempi difficili. È insieme e rispettand­o le regole che vinceremo

●Fede.... Fede..... Svegliati..... hanno dato l’annuncio...... sdrammatiz­ziamo un po’......

●Never,

● Oggi inizia una nuova settimana. Speriamo ci porti buone notizie! Serve fiducia, coraggio, unione e soprattutt­o ottimismo. Dobbiamo guardare negli occhi il nemico e urlargli: «Noi siamo l’Italia!» Ce la faremo!

Quando i terroristi palestines­i entrarono nel villaggio Olimpico di Monaco nel 1972, uccisero e rapirono degli atleti israeliani, il mondo si interrogò sulla opportunit­à di fermare o no i Giochi olimpici. Ricordo le immagini di un servizio di Maurizio Barendson al telegiorna­le delle 13.30 in cui, con un telefono satellitar­e al posto del microfono, raccontava, con coraggio giornalist­ico e civile, il suo dissenso rispetto alla decisione del Cio di proseguire lo stesso le gare. Le Olimpiadi, lo sappiamo, si sono fermate solo nel 1916, per la Prima guerra mondiale e poi nel 1940 e nel 1944 per il secondo conflitto. Nonostante le richieste di boicottagg­io i Giochi olimpici furono svolti nel 1936 in Germania e inaugurati dall’uomo che, di lì a tre anni, avrebbe invaso la Polonia e poi dato vita alla più grande tragedia del Novecento. Nulla di più assurdo. Ma per il resto si sono sempre svolti. Sempre in date precise. Definite con anni di anticipo. Lo sport è un orologio, e lo sport moderno, quello dei media, ancora di più. Non esiste fluidità possibile per un mondo che è fatto di organizzaz­ione, calendari, appuntamen­ti definiti. Improvvisa­mente questa crisi, drammatica e globale,

In queste interminab­ili giornate in casa senza un vero presente, il pensiero oscilla tra la nostalgia per un passato normale e la speranza per un nuovo futuro. E così, tra un rinvio e l’altro, anche Roberto Mancini si è dovuto arrendere all’evidenza di spostare al 2021 l’obiettivo di vincere l’Europeo. Una resa elegante con uno dei suoi famosi colpi di tacco, perché invece di lamentarsi ha rilanciato la sfida, promettend­o un’Italia campione come l’unica che vinse l’Europeo a Roma nel 1968. E chissà che in ha separato sport e tempo, li ha resi indipenden­ti. E così li ha annientati. Mai nella storia umana si è fermato tutto lo sport del mondo. Quello da vedere e quello da fare. Mai, davvero mai, è stata negata, da circostanz­e obiettive, la possibilit­à per un essere umano di correre, tirare calci a un pallone, andare in bicicletta o di vedere, sempliceme­nte vedere, la sua disciplina e i suoi eroi preferiti in television­e o allo stadio. Né vedere, né fare: sembrano i precetti di un severo collegio certi segnali di questo strano destino non si scoprano motivi di comune speranza. In fondo tutto era finito con la festa del 10 giugno 1968 all’Olimpico e tutto ricomincer­à in quello stadio l’11 giugno 2021. Ma soprattutt­o già allora ci fu un rinvio, anche se soltanto di due giorni e non di un anno, perché non esisteva ancora la “lotteria dei rigori”. La prima volta, infatti, sabato 8 giugno, non bastarono 90’ chiusi sull’11 con pareggio di Domenghini nel finale, né altri 30’ di “supplement­ari” contro la Jugoslavia per assegnare la coppa. Finale ripetuta due sere religioso ad adolescent­i in tempo di turbamento. La società da liquida è diventata gassosa. In poche settimane la nostra vita ha dilatato i suoi tempi e li ha resi flessibili. Lo sport ha bisogno di seguire il suo calendario che, per chi lo ama, si sovrappone a quello reale. Si sa che i campionati Mondiali di calcio si svolgono ogni quattro anni, che a metà del periodo si tengono gli europei, nello stesso anno delle Olimpiadi. Si sa quando inizia la stagione di Formula uno o del MotoGP e quando i grandi tornei di tennis. Si sa più tardi, col primo gol di Riva e il secondo, bellissimo, di Anastasi smarcato da De Sisti, per il definitivo 2-0. Una vittoria rivissuta in bianco e nero poche sere fa, in una delle tante repliche delle partite storiche su Raisport, col conto alla rovescia di Nando Martellini che scandiva «mancano 30 secondi, 30 secondi, 10», fino al fischio l’inizio e la fine della Champions e quello del Sei Nazioni di rugby o dell’Nba. Chi ama questi sport, e li considera parte non insignific­ante della propria vita, scrive - devo dire scriveva?- le date degli appuntamen­ti sulla propria agenda, in modo da non perderli e, nella misura del possibile, di tenerli come riferiment­o per i propri impegni. La rigidità del tempo dello sport è la condizione della sua stessa esistenza. Quest’anno, come succede ogni quattro, si presentava un’ finale dell’arbitro nel momento in cui il pallone finì tra le braccia di Zoff. «Qualsiasi cosa dicessi – proseguì il mitico telecronis­ta con voce rotta dall’emozione - in questo momento stonerebbe di fronte allo spettacolo che sta offrendo l’Olimpico». Nel buio della notte che sembrava ancora più buio in quel vecchio filmato, brillavano le fiaccolate con i estate da favola, con Europei e Giochi di Tokyo da vivere, uno dopo l’altro. Invece nulla di tutto questo. Non sappiamo quando potremo tornare a poter vivere o, anche solo a vedere, delle persone che - separate da una rete, o incolonnat­e in corsie di una piscina o di una pista di atletica - cercano di superare altri o se stessi. Non sappiamo quando ci sarà il calciomerc­ato, cosa sarà del campionato di calcio. Ma soprattutt­o cosa troveremo del grande luna park dello sport, quando usciremo dalle nostre case e torneremo a vedere il sole. Bisognerà tornare a organizzar­e le date, gli orari, sapendo che all’ordine tradiziona­le si è sostituito il caos. Se le Olimpiadi e gli Europei si svolgerann­o in un anno dispari, cosa accadrà delle altre manifestaz­ioni? Siamo in una terra sconosciut­a. I nostri orologi seguono un fuso orario diverso da quello della realtà che questo incubo ci impone. Ma lo sport è un orologio. Riportare le lancette del tempo ad avere un ordine razionale sarà una delle tante cose da fare. Certo non la più importante. Però dopo avremo bisogno di sorridere e di abbracciar­ci per un nonnulla. E non vediamo l’ora di poterlo fare, di ritrovare quella normalità che ci sembrava noiosa. Domani, presto.

Olimpico

giornali bruciati dagli accendini dei tifosi in tribuna, mentre altri tifosi invadevano il campo per abbracciar­e capitan Facchetti e i suoi compagni passati direttamen­te dalla cronaca alla storia: Burgnich, Rosato, Guarneri, Salvadore, Domenghini, Mazzola, De Sisti, Riva e Anastasi e naturalmen­te Zoff con un inedito numero 22, perché allora la numerazion­e era per ordine alfabetico. Da quella sera Mancini aspettava di ripartire per ripetere l’impresa di Valcareggi. Il programma, almeno quello, non cambierà e da Roma scatterà la prossima sfida con finale a Wembley, lo stadio a cui è legato il più grande rimpianto del c.t. azzurro che proprio lì, nel 1992, perse la finale di Coppa dei Campioni con la Samp. Un’occasione unica per saldare il debito col destino, perché anche tra un anno l’importante sarà vincere. Senza chiedere scusa per il ritardo.

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Capitan Facchetti alza la coppa dell’Europeo 1968: è il 10 giugno
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Tempo Alcune persone passeggian­o a Tokyo con la mascherina davanti ad uno schermo col cpuntdown per i Giochi
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