Il virus si è preso Big Ram, padre del football italiano
Domenica è morto a 67 anni Paolo Crosti, mito dei Rams, tra i principali fondatori dell’Aifa
«Big Ram se ne è andato. I Rams Milano si stringono tutti uniti insieme alla famiglia». Domenica mattina il coronavirus si è portato via Paolo Crosti, 67 anni, l’anima dei Rams, uno dei padri costituenti del football americano in Italia. Tutto il movimento lo piange, in questi giorni di lutto infinito, ricordando una figura energica, poliedrica, visionaria. Il suo club, la sua grande famiglia, che ha fondato e accudito con mille abiti diversi (giocatore, allequarterback natore, presidente, editore, magazziniere) dal proprio sito lancia l’ultimo struggente saluto e anche i grandi rivali cittadini, i Rhinos, s’inchinano: «I Rhinos rendono onore ad un grande avversario, e si stringono attorno alla famiglia e alla squadra dei Rams con le più sentite condoglianze». Perché Paolo, a Milano ma non solo, era un’istituzione che andava oltre le rivalità.
Gli inizi
Nato il 3 marzo del 1953, laurea in psicologia a Padova, una lunga esperienza nel campo immobiliare, per tutti era Big Ram, il numero 33 del club che aveva fondato nel 1978 insieme a un gruppo di amici, ispirati dal film «Quella sporca ultima meta». Si facevano chiamare Black Devils all’inizio e, grazie soprattutto all’inesauribile attivismo di Crosti, furono tra i fondatori della Aifa, l’Associazione italiana di Football americano, che diede vita al primo campionato tricolore. Cinque squadre: Frogs Legnano, Giaguari Torino, Aquile Ferrara, Rhinos e, appunto, i Rams. Più che uno sport, uno stile di vita.
Libricino
Tant’è che Big Ram lo ha pure codificato in un libro autofinanziato, dal titolo evocativo: «Il modello Rams. Lo zen della palla ovale: ovvero come crescere iarda dopo iarda», scritto insieme a Marco Ghezzi e Fabio radiografie, tampone. «Essere positivo al coronavirus, alla mia età, può comportare problemi gravi. Ma sono stato fortunato. La professionalità e l’umanità che i medici e gli infermieri dell’ospedale di Cremona hanno messo e mettono a disposizione dei malati è davvero ammirevole. Mi hanno toccato il cuore, desidero approfittarne per ringraziarli». Non ha avuto paura, Aldo Vanoli, durante il ricovero. Giornate molto lunghe. Notti, per lui abituato a svegliarsi alle 5, a volte lunghissime. Qualche libro da leggere, ovviamente le notizie in tv e sui giornali per rimanere aggiornato. E poi i messaggi, tanti, di affetto e vicinanza della fami
Rancati, l’amico di sempre, uno dei pionieri. «Lui psicologo, io sociologo - ricorda Rancati - e la velleità di pianificare una proposta educativa perché Paolo era soprattutto questo: un educatore. Il nostro mantra era: “dove ho sbagliato?” per abituaglia e dell’intera comunità cremonese. Dai due figli, Ruth e Nicola, che lo aiutano nella gestione della ferramenta di Soncino, la sua attività principale assieme al basket, ai filmati dei 10 nipotini: «Loro soprattutto mi hanno tenuto compagnia, con i bambini non ci si annoia mai». Infine gli auguri di pronta guarigione di tifosi, giornalisti, giocatori, lo staff medico della società guidato dall’amico di sempre, il dottor Piercarlo Manzini e in generale dall’universo della pallacanestro italiana.
Meo c’è
Con il coach Meo Sacchetti, che è anche il c.t. della Nazionale, Aldo si è sentito ogni sera: re tutti a un approccio critico, a un atteggiamento osservativo. Paolo aveva una visione chiara del football: non forza e brutalità, ma tecnica, volontà e disponibilità al sacrificio. Tutti concetti che ha trasmesso a centinaia di ragazzi. Il suo contribuidel tra i due il rapporto è speciale. «Ed è stato bello ricevere stamattina (ieri per chi legge, ndr) anche la telefonata del presidente della Federazione Gianni Petrucci». D’altronde, Aldo è un’istituzione del nostro basket. Quest’anno la sua Cremona era sesta in classifica in piena corsa playoff, tra le poche ad aver battuto la capolista Virtus Bologna. Sarebbe stata l’undicesima stagione di fila in Serie A. Il condizionale è d’obbligo. Perché anche il presidente Vanoli lo sa bene: riprendere il campionato sarà molto difficile.
TEMPO DI LETTURA 2’17” to è stato enorme». Nonostante quel carattere rude, indocile. «Non girava attorno alle cose - continua Rancati -, era allergico alla retorica e alla diplomazia, un uomo di campo e non di palazzo. Un carattere spigoloso ma profondo: per lui lealtà e amicizia venivano prima di tutto. Ha costruito i Rams facendo qualsiasi cosa: selezionava i giocatori e faceva le righe del campo. Una forza della natura». Piegata solo dal maledetto virus. Come Massimo Mantovan, colonna dei Giaguari di Torino, 57 anni, che lo ha preceduto di 24 ore. Due leggende se ne sono andate. Inseguendo, forse, quella sporca ultima meta.
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