Roberto D’Aversa «A PARMA DA SOLO E LONTANO DA TUTTO SONO DIVENTATO UN UOMO DI CASA»
Il tecnico racconta le due settimane di autoisolamento: «Adesso so cucinare e usare la lavatrice. E cerco anche di dimenticare l’ultima partita con la Spal»
Nemmeno lui, che del contropiede è un maestro, adesso riesce a trovare un modo per ribaltare l’azione e mettere alle corde l’avversario. Questo virus è talmente aggressivo da togliere il fiato e annebbiare le idee. «Bisogna organizzarsi, servirebbe tempo, ma purtroppo non ne abbiamo. L’importante è non farsi travolgere, resistere uniti e giocare di squadra». Un po’ come, nei tanti momenti di difficoltà attraversati, ha fatto il suo Parma. Roberto D’Aversa parla dalla sua casa di Pescara, raggiunta dopo aver rispettato i 15 giorni di isolamento volontario suggerito dalla società.
3Che cosa ha fatto in quelle due settimane?
«Ero a Parma da solo, mia moglie e i miei figli erano già a Pescara. Diciamo che mi sono arrangiato e ho scoperto quanto è duro fare andare avanti una casa. Le donne, che lo fanno ogni giorno, sono delle sante».
3 Ricorda l’ultima partita? Parma-Spal dell’8 marzo. «Preferirei dimenticare, ma non per la sconfitta. Il sistema calcio, del quale faccio parte, in quell’occasione non ha dato una dimostrazione di compattezza e organizzazione. Prima si gioca, poi si ritarda, poi si ritarda ancora, telefonate negli spogliatoi... Vabbè, lasciamo stare: in questo momento non è il caso di fare polemiche. Capitolo chiuso, qui si deve pensare alla ripartenza».
3Da dove si riparte?
«Dal pallone, lo strumento che fa divertire tutti. Ci si deve sedere attorno a un tavolo, parlo dei massimi dirigenti italiani, europei e mondiali, e in fretta si deve scegliere la strategia. Mi auguro che lo Stato dia una mano, se è possibile, a tutto il sistema-calcio. Ma adesso, in questo preciso momento, se mi chiede quale intervento ho in mente, sinceramente non riesco a pensarci».
3Perché non ce l’ha o perché ha altro per la testa? «Perché non riesco a non pensare che ora, mentre stiamo parlando, qualcuno sta morendo per il virus. Qui si sta azzerando una generazione, quella degli anziani, dei nonni, che con la loro esperienza ci hanno insegnato a vivere. Non possiamo permetterci una simile tragedia. Lo dico con dolore: io, al calcio, adesso non riesco proprio a pensarci. Mi interessa soltanto la salute. Dei miei cari, delle persone che conosco, degli altri».
3Ha paura?
«Normale, quando vedi certe immagini in televisione, rimanere colpiti. La fila dei camion militari che trasportano le bare a Bergamo non me la dimenticherò più. Un mio giocatore, Alberto Grassi, ha perso il nonno. Il segno del dolore resterà a lungo, bisognerà imparare a conviverci».
3Come sono state le sue due settimane di isolamento? «Ho fatto l’uomo di casa: pulizie, cucina, lavatrice. Ho imparato a far andare quell’aggeggio infernale!». 3E come ci è riuscito?
«Da solo, impossibile. Allora ho chiamato mia moglie, perché le donne sono molto più avanti, e lei mi ha spiegato che cosa dovevo schiacciare. E poi, grazie alla tecnologia, ho pure imparato a cucinare l’agnello al forno con le patate».
3Addirittura.
«Merito delle videochiamate con mia moglie. La cosa più difficile è stata pelare le patate. Mi vergogno a pensare che non ero capace. Questo periodo mi ha fatto scoprire le piccole cose che, vissute con lo spirito giusto, possono essere positive».
3 Non dica che non ha visto un po’ di calcio in televisione? «Pochissimo. Ho studiato qualche giocatore sul computer con il programma di scouting. Ma non è il momento adatto. Piuttosto, ho letto».
3Che cosa?
«Un libro in particolare mi ha colpito e lo consiglio: s’intitola “Niente teste di cazzo. Lezioni di vita e di leadership dagli All Blacks”. E’ di James Kerr. Pagine che scorrono via velocemente. Bello».
3Si è tenuto in forma in questo periodo?
«Zero allenamenti. L’unico movimento, e non è stato poco, è stato quello per pulire in casa. Ho cercato di tenere in forma il cervello, che ora conta di più delle gambe o delle braccia».
3 Come ha raccontato ai figli la vita al tempo del coronavirus? «Ho tre figli. I due maschi Simone e Francesco, che sono più grandi, hanno intuito subito: non andavano a scuola, la perdita della normalità l’hanno percepita così. La piccola Sofia vive questo periodo con l’incoscienza dei 4 anni. Mi ha commosso quando mi ha mandato un disegno dove c’era scritto “Quando arrivi, papà?”. La famiglia è come le radici della quercia: ti tiene saldo a terra».
3Taglio degli stipendi ai calciatori. E’ d’accordo?
«Penso che si debba parlare, si debba cercare un compromesso tra tutti. Io penso che già adesso c’è gente che ha difficoltà a fare la spesa: ognuno deve giocare il proprio ruolo».
«Bisognerà imparare a convivere con il dolore Ripartire col pallone, ma lo Stato ci dia una mano» ROBERTO D’AVERSA, TECNICO DEL PARMA