La Gazzetta dello Sport

PARLIAMO

- Di Andrea Elefante di di

Vent’anni fa, al termine del primo campionato in Serie A, l’ucraino Andriy Shevchenko conquistav­a con 24 gol la classifica dei cannonieri, davanti ad avversari del calibro di Batistuta e Crespo. Era la consacrazi­one di uno dei più grandi attaccanti che abbiano mai vestito la maglia del Milan ed anche l’affermazio­ne di un bomber che veniva dall’Europa dell’Est e non dai tradiziona­li paesi che dominavano la scena calcistica. Vi raccontiam­o come nacque quell’avventura, che sarebbe culminata tre anni dopo con la notte di Manchester, dove Sheva realizzò il rigore decisivo nella vittoria del Milan contro la Juventus.

È stato un avversario leale. Ed esprimeva il suo calcio senza bisogno di fare il fenomeno

Il contrasto prima del gol nel derby di Champions l’ho sognato per un sacco di tempo

Averlo marcato ed essere stato all’altezza di un Pallone d’oro è per me un orgoglio

Segnava sempre lui e toccava (quasi) sempre a lui. Lui Andriy Shevchenko e lui Ivan Ramiro Cordoba. Una storia di incroci e duelli lunga sei anni e sedici partite. Una storia di gol fatti e gol da evitare: alla fine furono comunque 11 sui 14 che fanno di Sheva il marcatore principe del derby di Milano, ma nella mente di Cordoba i ricordi del rivale sono anche altri, e finiscono per combaciare con la prima impression­e. E quel che gli resta, andando indietro con la memoria, è più il piacere delle sfide con un avversario così che il dispiacere delle sfide perse. «Sapevo di dover essere all’altezza di un Pallone d’Oro e il mio orgoglio di aver giocato così a lungo in Serie A è nato e vive proprio per il fatto di aver affrontato fuoriclass­e come lui. Campioni che hanno fatto di quegli anni uno dei periodi più belli del calcio italiano».

3 Cosa ricorda quell’avversario?

«Anzitutto che era leale, fortissimo si sa. Shevchenko esprimeva tutto il suo calcio sempre pensando anzitutto alla squadra e senza fare cose strane. Senza fare il fenomeno, per essere più chiaro».

3 Ma a volte serviva essere duri, con lui.

«Un difensore deve far sempre “sentire” all’attaccante che c’è, ma non lo ricordo come un avversario lamentoso, per niente. Ma soprattutt­o non era uno di quei rivali che ti fanno venir voglia di picchiarli, anche se faceva di tutto per farmi arrabbiare...».

3E c’è riuscito diverse volte.

«Sì, diverse volte. Ma diverse volte è riuscito a me: lui ha segnato tanti gol, io gliene ho tolti tanti, evitandoli. Ma il calcio è così: ci si ricorda sempre di chi fa gol, quasi mai di chi non ne fa segnare».

3Ma perché toccava sempre a lei marcarlo?

«Perché era veloce, rapido e forte di testa. Se affrontavi Shevchenko sapevi una cosa: se arrivava la palla alle spalle della difesa e la prendeva lui, novantanov­e volte su cento era gol. Ma non ricordo suoi gol in cui è partito e si è trovato solo davanti al portiere».

3Ma ad un certo punto sentiva come una “condanna” il fatto di doverlo marcare?

«Mai avuta l’ansia di dover affrontare un avversario. Primo perché esiste una difesa di squadra e io ho sempre avuto fiducia nei miei compagni: non mi sentivo solo contro Shevchenko, mai. Secondo perché sapevo che era anche una sfida personale e dunque mi preparavo mentalment­e, molto: era concentraz­ione, non ansia».

3 E lo studiava, prima affrontarl­o?

«Assolutame­nte sì: quando devi vedertela con uno imprevedib­ile com’era lui, l’unica cosa che puoi fare è cercare di ridurre le probabilit­à che possa sorprender­ti».

3Shevchenk­o ci riuscì subito, già alla prima sfida: MilanInter 2-3 e sua doppietta, il 12 gennaio 2000.

«Prima di quel giorno lo avevo visto solo in tv, ma un avversario è tutta un’altra cosa quando ce l’hai di fronte: capii in fretta con chi avrei avuto a che fare. E quel giorno non ero granché felice anche se avevamo vinto: un difensore vorrebbe sempre finire una partita con zero gol presi».

3 La volta in cui andò meglio fu nella semifinale di andata della Champions 2003, ma fu un’illusione.

«Quella partita la giocammo a tre: io, Materazzi e Cannavaro. Quasi uomo contro uomo con Sheva e Inzaghi, ci diedero poco fastidio ma non ero contento neanche quel giorno: almeno un gol dovevamo farlo. Anche perché sapevamo già che difficilme­nte Shevchenko sarebbe stato due partite senza segnarci».

3E infatti...

«Infatti al ritorno segnò, e finì 1-1. E pensare che giocai anche bene, ma se quel giorno c’era qualcosa che poteva andare, andò male: il contrasto prima del gol con la palla che gli resta sul piede me lo sono sognato per un sacco di tempo».

3Ha detto: Shevchenko è stato l’avversario più difficile della mia carriera con Ronaldo.

«Mai nessuno ha avuto il dominio del pallone e la potenza in velocità di Ronaldo. Però lui l’ho affrontato solo con la nazionale e quando era al Milan, ovvero quando non era più lui. Sheva è stato il più difficile in Italia non solo per i gol che ha segnato: perché era un attaccante completo e pure furbo. Non potevi mai perderlo di vista: per lui diventavan­o decisivi i centimetri, non i metri, che ti prendeva. Sheva partiva da sinistra, da destra, lo trovavi dappertutt­o, come quel rompiballe di Inzaghi. Però, con tutto il rispetto, se partiva Inzaghi riuscivo a riprenderl­o, se partiva Shevchenko era una scommessa: forse lo riprendo, forse no. E se lui non lo riprendevi, nove volte su dieci era gol».

Andriy mi ha segnato tanti gol, ma anche io gliene ho tolti parecchi

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LAPRESSE Facce da derby Il milanista e l’interista: marcatura stretta

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