Il Milan dica alla gente come può tornare grande
Raramente, nella sua lunga storia, il Milan ha vissuto momenti così nebulosi e tristi come negli ultimi mesi. Certo, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso il club rossonero si è trovato anche sull’orlo di un burrone, fino a sprofondare due volte in B. Nessuno dimentica. Eppure, anche nella miseria di quelle stagioni c’era sempre una risorsa che consentiva di attraversare l’inferno, tenendo viva l’ostinata prospettiva di tornare
grande. Era il calcio di un altro secolo, con le lire di un mondo lontano. Però si capiva che esistevano delle visioni. Nereo Rocco, per dire, è stato un maestro in molte cose. La più importante, forse, era l’arte di rigenerare campioni arenati o perduti, come succede soltanto ai grandi chef capaci di fare alta cucina usando ingredienti poveri. I vari Cudicini, Schnellinger, Malatrasi, Hamrin, Sormani erano suoi figli. Più avanti, Nils Liedholm ha percorso gli stessi sentieri, lanciando anche un po’ di giovani che poi hanno fatto abbastanza strada, tipo Franco Baresi o Paolo Maldini.
Silvio Berlusconi aveva cambiato molte cose, con la sua gestione, trascinando magnificamente il Milan nella modernità, fino a far diventare il suo modello organizzativo un format copiato in diversi top club del mondo. Anche con i cambi di mano, nella proprietà, gli allenatori sono sempre stati importanti, il filo rosso che tiene viva una Scuola.
Da Sacchi a Capello, da Ancelotti ad Allegri, con le parentesi – poco felici – dei Tabarez e Terim, gente comunque di livello. Tutto è precipitato, piano e poi di colpo nell’ultimo decennio.
Quando il filo rosso si spezza è difficile tenere la rotta. Non credo all’uomo della provvidenza, al mago che risolve. Però succede che certe persone si incastrano perfettamente in un’epoca, in un ambiente e lo cambiano, lasciando voragini quando se ne vanno. Per quanti anni il Santos è rimasto in sonno, dopo Pelé? Quanto è sceso d’abito e che cosa ha vinto il Manchester United da quando il manager non è più Ferguson? Piuttosto chiaro. Adesso il Milan vive nel limbo di una proprietà provvisoria – il fondo Elliott – e questo rende ancora più complicata e lontana l’uscita dal labirinto. Conoscendo Leonardo, Boban e la dinastia dei Maldini sono convinto che la loro presenza funzionasse come garanzia per milioni di tifosi. Anche nel calcio, la felicità comincia con l’attesa delle cose belle che possono venire quando le costruisci in un percorso.
Ma questa felicità viene tolta ai milanisti, ripartendo ogni anno da zero, come in un’infinita tela di Penelope che scolorisce tutto.
Anche i vari Bonucci e Higuain, assieme ai tanti giovani cresciuti in casa e affermati con altre maglie tipo De Sciglio o Locatelli, Petagna, Cristante e Aubameyang. Soltanto Ibra, per un po’, ha invertito la rotta.
Il club rossonero deve darsi una visione, coerente con la sua storia e raccontarla alla gente.
Sappiamo troppo poco della nuova dimensione. Il Milan è destinato a tornare ai tempi arrangiati del secolo scorso o può ancora sperare, davvero, in un posto tra i grandi in Italia e in Europa?