La Gazzetta dello Sport

PERCHÉ LO SCUDETTO DI SIENA FU IL CUORE DEL TRIPLETE INTER

- di Andrea Elefante

Raccontano che negli ultimi tre minuti, quelli di recupero, di Siena-Inter del 16 maggio 2010, dieci anni fa esatti, José Mourinho si voltò verso la sua panchina almeno una decina di volte: «Quanto manca?».

Non era paura, era fretta. Fretta di passare ad altro: sei giorni dopo avevano tutti un appuntamen­to con la storia, a Madrid.

Al «Franchi» poteva essere una partita avvelenata e un po’ lo fu, perché proprio lui una decina di giorni prima, vinta la Coppa Italia contro la Roma, rivale anche per lo scudetto, era passato con il lanciafiam­me: «Ora il premio per la coppa possono darlo al Siena, che gioca contro di noi all’ultima». Poteva essere una partita facile, dall’alto dei 48 punti di vantaggio che l’Inter aveva su una squadra già retrocessa, ma non lo fu: Curci, portiere cresciuto nella Roma, parò come se non ci fosse un domani e Rosi, che alla Roma sarebbe tornato, giocò con lo spirito di una finale di Champions. Al di là dell’1-0 striminzit­o, la vittoria di Siena diede definitiva­mente il senso dello spessore di quella squadra, che aveva tutto da perdere e riuscì comunque a vincere. A tenere la testa in Italia quando era normale che il pensiero volasse già all’Europa: a un desiderio lungo 45 anni, un obiettivo enormement­e più importante del quinto titolo italiano negli ultimi cinque anni.

Ma l’Inter sapeva, capiva, che non vincendo quello scudetto a Siena poteva diventare più difficile vincere a Madrid.

Cosa che invece in cuor loro tutti, e Mourinho più di tutti, a quel punto sentirono sarebbe successo. Lo scudetto fu il cuore del Triplete: non perché arrivò a cavallo fra gli altri due trionfi, ma perché si appiccicò sull’anima della squadra e lì rimase anche sotto la maglia con la patch della Champions. Per togliere pressione alla squadra prima della missioneSi­ena, come sempre Mourinho la parafulmin­ò su se stesso. Alla noia di Ranieri («Ma perché parla sempre di me?») rispose con «La nausea» di Jean-Paul Sartre: «L’ho studiato e conosco solo lui: era anche un grande appassiona­to di calcio». La sua noia in realtà non era solo per la lunga guerra di parole a distanza con il collega, ma per tutto un mondo, quello del calcio italiano, con cui faceva sempre più fatica a relazionar­si. Mourinho aveva già deciso di lasciare l’Inter e la squadra aveva già capito che sarebbe stata lasciata: la straordina­rietà del legame di quel gruppo fu anche quella, riuscire a vincere uno scudetto e una

Champions sapendo già che sarebbe stato un reciproco regalo di addio. Fare di una separazion­e un motivo per sentirsi ancora più uniti. Per questo a Siena, quel giorno, mentre Massimo Moratti festeggiav­a in campo omaggiando­lo con il suo gesto delle manette,

Mourinho nascose a fatica le prime lacrime, che avrebbe versato senza vergogna sul prato del Bernabeu, sei giorni dopo.

Per questo, anche se la squadra si era promessa una festa soft per non perdere concentraz­ione, diede l’ok all’happening in Piazza Duomo, prova generale dell’oceano nerazzurro della notte fra il 22 e il 23 maggio. Aveva fatto lo stesso, un po’ a malincuore ma con lo stesso animo del papà buono che poi si lascia convincere, l’anno prima: la sera in cui l’Inter scoprì di essere campione d’Italia alla Pinetina, senza bisogno di giocare il giorno dopo, e Julio Cesar arrivò a scongiurar­lo di farli salire tutti sul pullman scoperto che era stato prenotato al gol del 2-0 dell’Udinese sul Milan. Era successo il 16 maggio ed erano già tutti ragazzi a cui Mourinho voleva bene: un anno dopo erano tutti figli suoi.

 ??  ?? 16 maggio 2010 L’Inter festeggia lo scudetto a Siena: sei giorni dopo l’appuntamen­to con la storia a Madrid
16 maggio 2010 L’Inter festeggia lo scudetto a Siena: sei giorni dopo l’appuntamen­to con la storia a Madrid

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy