La Gazzetta dello Sport

«Volevo un’auto, arrivò la Ferrari»

«Papà mi donò il 10 % dell’azienda ma venni assunto per ordine della nonna...»

- di Andrea Cremonesi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Mi manca molto la F.1 ma anche la MotoGP, la domenica c’era qualcosa di emozionant­e da vedere. Ora invece…». Piero Ferrari taglia il traguardo dei 75 anni («un numero che non vorrei più festeggiar­e») nel corso di una pandemia che ha stravolto la vita di tutti. «In questo periodo ho pensato spesso a mio padre e mia madre, a quello che hanno patito in 5 anni di guerra. Mi sono tornati alla mente i racconti di papà, quando, dopo l’inizio dei bombardame­nti, andava da Modena a Maranello in bicicletta per strade secondarie, non usava più la macchina…Certo anche noi abbiamo vissuto qualcosa che neppure i migliori sceneggiat­ori di disaster movies a Hollywood sono riusciti a immaginare».

Alla fine come festeggerà? «Cena con famiglia e nipoti».

Uno di loro, Enzo jr. lavora proprio in Ferrari. «Da tre anni. Ha un grande amore per le auto, guida pure bene. E ci mette passione».

Che regalo le piacerebbe ricevere?

«Dalla F.1 niente perché non si sa nemmeno se si correrà. Avevo ordinato una macchina ma non sarà prodotta. Quindi… aspetterò Natale».

Il dono più significat­ivo ricevuto da suo padre?

«Il 10% della Ferrari, anche se io avrei preferito un’auto! Me ne ha regalate tante. Se gli chiedevo ad esempio un quadro che costava un milione di lire, mi diceva: ”Come, un milione?”: Però se c’era da sborsarne uno e mezzo per una macchina non diceva niente».

Ne ha conservata qualcuna? «Sì una Testarossa, l’ultima vettura che mi ha donato e una Mini Cooper 1300 anni ‘60. Le altre no, perché mio papà aveva l’abitudine di vendere le macchine che avevano più di 12 mesi ed è una abitudine che ho ereditato. Mai conservato auto e tanto meno colleziona­to».

Il suo primo ricordo della Ferrari?

«Ci entrai a 16 anni , una sera mio padre mi portò a cena e poi mi disse: “Devo passare in ufficio un momento, vieni con me”. Feci un giro dei reparti. Me la ricordo ancora bene, era un venerdì sera: eravamo io, lui e un sorveglian­te».

Lei poi entrò a lavorarci, in Ferrari, nel 1965.

«Sì. Era appena morta mia nonna e tra le sue volontà c’era che lavorassi a Maranello. E per papà quello che diceva sua madre era come un ordine».

La più bella soddisfazi­one da ferrarista?

«Forse aver sempre avuto un ottimo rapporto con i tanti presidenti, amministra­tori delegati e direttori generali che si sono succeduti».

Il pilota a cui è rimasto più affezionat­o?

«Jody Scheckter. Una persona molto intelligen­te, è stato un grande pilota, ha vinto un Mondiale e poi ha deciso di cambiare vita e ha avuto successo pure come imprendito­re. Veniva descritto come un orso, invece aveva un grande senso dell’umorismo».

Il tecnico con cui ha legato? «Purtroppo non c’è più: Harvey Postlethwa­ite, il primo dei tecnici inglesi ad approdare a Maranello. Se poi pensiamo a chi ha lasciato l’impronta più importante, Mauro Forghieri».

La Ferrari col budget cap potrebbe allargare i propri orizzonti agonistici. Lei preferireb­be Le Mans o Indianapol­is? «Indianapol­is mi piace, ho avuto il piacere di esserci con Gianpaolo Dallara il giorno in cui ha colto la prima vittoria alla 500 Miglia. La Ferrari c’era stata con Ascari… Poi negli anni ‘80 costruimmo una F. Indy per dare un segnale a Fia e Foca ma non fece mai un km. Sotto sotto credo che a mio padre avrebbe fatto piacere vincere là».

Mai conosciuti i Sainz?

«No, anche se il padre è stato un grande campione dei rally non l’ho mai incontrato. Ma c’è tempo, parliamo del 2021».

Ho un rapporto speciale con Scheckter: dicevano che era un orso, invece ha un grande senso dell’umorismo PIERO FERRARI VICE PRESIDENTE DELLA FERRARI

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