La Gazzetta dello Sport

La crisi di Roma e Pesaro è un colpo al cuore del basket

- IN CONTROPIED­E di Dan Peterson © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Con la complessa riapertura di bar, ristoranti e negozi per la fase 2, ci sono anche notizie di tante chiusure, di aziende e negozi che sono la vera linfa di ogni strada, ogni quartiere di ogni città e cittadina d’Italia. Insieme a queste storie difficili da raccontare ci sono anche notizie di società sportive che affrontano momenti drammatici: vendita, ridimensio­namento o chiusura. Un club, non importa di quale sport, è il battito del cuore di una città, anche di una “metà” in quelle città dove ci sono i derby. E’ “l’orologio della vita” del popolo, anche di quelli che non vanno allo stadio. Detto ciò, arrivo a due situazione nel mio basket che mi fanno piangere il cuore: le difficoltà della Virtus Roma e della VL Pesaro. Ammetto: sono un nostalgico incurabile, un “tifoso” delle squadre che sono state grandi avversarie quando allenavo la Virtus Bologna (1973-78) e l’Olimpia Milano (1978-87). Con l’Olimpia ho fatto due finali scudetto e due finali di Coppa Italia contro Pesaro, per non parlare delle semifinale della Coppa delle Coppe nel 1983-84. Contro Roma, la mia Olimpia ha fatto (e perso) nell’83 la finale scudetto più importante di ogni tempo per media pubblico (12.000 a Roma, 12.000 a Milano, 12.000 a Roma). Sembra che Roma e Pesaro forse non riuscirann­o a fare la Serie A nel 2020-21. Il basket italiano ha bisogno di Roma, che è il “Polo Sud” contro Milano, il “Polo Nord”. Un po’ come New York e Los Angeles nell’Nba. Il basket italiano ha bisogno di Pesaro, che è una piazza che, come dicono in America, “sanguina pallacanes­tro”. Ho sempre detto che l’arena avversaria in cui mi piaceva di più giocare era il mitico “hangar” di Pesaro. L’idea di perdere questi due gioielli mi fa male. Anzi, peggio. Ho sempre amato le squadre che mi mettevano più difficoltà: Pesaro con Valter Magnifico e Ario Costa, Roma con Larry Wright e Enrico Gilardi. Ma anche Cantù, Virtus Bologna, Varese. Per non parlare della perdita della Pallacanes­tro Milano (e quindi del derby) nel 1980, una ferita che non mi si è mai emarginata. La verità è che non ci sono più i mecenati di una volta: la famiglia Borghi a Varese, la famiglia Allievi a Cantù, la famiglia Scavolini a Pesaro... Anche prima del virus, il mondo è cambiato. Un uomo solo non può reggere il peso di un club. Un esempio: Silvio Berlusconi ha venduto il Milan! Un altro: la famiglia Moratti ha venduto l’Inter! Solo la famiglia Agnelli resiste con la Juve, ma anche loro si sono adeguati alla nuova realtà: stadio, museo, marketing, merchandis­ing, sponsor, partner. Claudio Toti è un “eroe” di Roma, regge la Virtus da decenni. Il suo coach, Piero Bucchi, ha detto, «Se Toti avesse altri soci...». Vale lo stesso per Pesaro, che ha imboccato una strada interessan­te perché il proprietar­io è il Consorzio Pesaro Basket. Ecco il futuro: meglio avere mille azionisti di minoranza che un solo proprietar­io (con rare eccezioni!). E se vanno via 100 soci, la struttura trema ma non crolla. Come diciamo noi in America: “Bisogna pensare fuori dalla scatola”.

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Duello Wright contrastat­o da Meneghin durante la finale scudetto dell’83

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