Dilemma Gallo: «Tokyo? Se l’Nba parte a Natale...»
«TOKYO È IL SOGNO MA SE LA STAGIONE NBA PARTIRÀ A NATALE DOVRÒ SCEGLIERE...»
Voglio giocare col mio team e con la mia Nazionale Dovrei essere messo nelle condizioni di poterlo fare DANILO GALLINARI
«Ai Thunder abbiamo due palloni a testa per tornare al top e continuare a stupire. Il nuovo calendario sarebbe un ostacolo per la missione olimpica con l’Italia»
La nuova routine di Danilo Gallinari comincia con una videochiamata. È il preparatore dei Thunder, deve assistere mentre si misura la temperatura col termometro che la squadra gli ha mandato. Se non ha la febbre, il 31enne azzurro può salire in macchina e dirigersi al centro di allenamento di Oklahoma City, che ha riaperto lunedì. Lì deve parcheggiare nel posto assegnatogli, non può toccare le maniglie della porta e deve seguire il percorso riservato agli atleti che porta direttamente al campo. Dove può finalmente togliersi la mascherina e mettere le mani su uno dei due palloni col suo numero sopra, quelli che possono toccare solo lui e il preparatore Mark Daigneault, che lo segue con guanti e mascherina ad almeno 4 metri di distanza. «È strano allenarsi così - racconta Gallo da Oklahoma City, dove è rimasto per tutto il lockdown nonostante la tentazione di tornare in Italia -. Voglio dire, l’allenatore mi passa il pallone con guanti e mascherina addosso. Però il solo fatto di essere tornato ad allenarmi dopo due mesi senza il pallone è stato davvero bello». Gallinari per ora è contento perché «la palla entra ancora»: questa ripartenza chiude il capitolo lockdown e apre quello che porta verosimilmente al completamento del 2019-20, di cui i suoi Thunder erano la squadra rivelazione. E poi alla sua free agency. E al 2021 azzurro, Nba permettendo…
Danilo, tornare ad allenarsi quanto aumenta la voglia di ricominciare la stagione? «Tanto. Ora ci sono sensazioni più positive sulla ripresa, non solo da parte mia. Il Commissioner deciderà tra il 1° e il 15 giugno».
Ottimista?
«Sì, ma ho ancora una dose di pessimismo. Ho visto quanto è stato difficile poter riaprire il nostro centro di allenamento, quali misure le persone che ci lavorano devono attuare per permetterci di fare due tiri a canestro. Per ripartire dovremo replicare queste stesse regole all’intero mondo Nba, concentrato in una sola città. Difficile farlo, però…».
Bubble City unica soluzione,
quindi?
«Sì. Sarà strano senza tifosi: sono diversi da quelli europei, ma la loro presenza aggiunge per i giocatori un livello emotivo che gioca un ruolo importante nella gestione di una gara. Non so come reagiremo senza. Sarà come un allenamento in cui senti parlare tutti».
Tra le ipotesi per il futuro Nba c’è lo spostamento a Natale per il via del 2020-21. Se succedesse, la regular season finirebbe a giugno inoltrato, a ridosso di preolimpico e Olimpiade. E chi gioca in Nba dovrebbe rinunciare…
«Non ci voglio pensare. È una scelta che nessun giocatore dovrebbe essere costretto a fare. Io voglio giocare con la mia squadra Nba e voglio giocare con la Nazionale. In quanto atleta devo essere messo nella condizione di poter fare entrambe, senza per forza dover scegliere».
Ne avete già parlato? «Ancora no, forse perché ci auguriamo che non succeda».
Quali rischi accettereste per riprendere voi giocatori? «Deve essere tutto fatto in sicurezza. Al 100%. Non ci deve essere neanche la minima possibilità di contrarre il virus. La salute deve essere controllata e controllabile in ogni aspetto, in ogni momento».
Conoscete il peso economico di una cancellazione? «Conosciamo i numeri Nba. E cosa succederebbe ai nostri contratti, sia che si ripartisse sia che non si giocasse».
A proposito di contratti, sarà free agent a fine stagione... «Non ci pensavo quando doveva essere a luglio, figuriamoci adesso. So comunque che i free agent saranno un po’ penalizzati, perché in ogni caso cambieranno sia la situazione economica sia il monte salari».
È sempre dell’idea di voler giocare per vincere?
«Sì. Quando uno è free agent valuta tutto. Ma se la scelta sarà tra due opzioni in cui in una
delle due ho obiettivi importanti, sarà più facile scegliere».
Prima ci sono i Thunder. Con che obiettivi riprendereste? «Stavamo compiendo una sorta di miracolo sportivo quando la stagione si è interrotta: poter continuare questa favola sarebbe super. Comunque mi aspetto di avere gli stessi obiettivi di prima».
Due mesi in lockdown con Eleonora, la sua fidanzata. Com’era la vostra routine?
«Qui a Oklahoma City non c’è mai stato un vero lockdown. Si poteva uscire, ma all’inizio seguivamo le stesse regole italiane: uscivamo soltanto per andare a fare la spesa. Poi, visto che la situazione qui è sempre stata tranquilla, abbiamo cominciato a fare qualche passeggiata».
Hobby ritrovati?
«Ho ripreso con la chitarra: l’avevo lasciata a Denver, me la sono fatta mandare. Ho messo in repertorio un paio di canzoni anche se la pulizia del movimento va assolutamente migliorata. Però mi diverto».
3Libri?
«L’ultimo letto è The Most Important Thing, di Howard Marks, un libro di finanza regalatomi da un amico. Gli altri che avevo in casa li ho finiti».
Serie tv?
«The Last Dance ovviamente. Nell’ultimo periodo, però, stiamo vedendo più film».
Ha mai pensato di tornare in Italia?
«Sì, ma ho anche pensato che la vita lì sarebbe stata molto peggio che qui, considerando le regole e la criticità della situazione. Se fossimo tornati ci saremmo dovuti mettere in isolamento per 15 giorni, senza poter vedere le nostre famiglie, mia mamma. E poi tutti i voli che avevo prenotato sono stati cancellati. Mi hanno fatto passare la voglia».