La Gazzetta dello Sport

Nuovi stadi, una grande occasione perduta

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Eravamo felici e spensierat­i, forse troppo. L’Italia del 1990 è un Paese giovane e ricco, e fa surf sull’onda lunga degli Anni Ottanta. Usciti dal terrorismo del decennio Settanta, sedotti dall’edonismo reaganiano e colpiti da improvviso benessere di ritorno, gli italiani si illudono che il peggio sia alle spalle e che il Duemila ci sorrida. L’Italia è da poco entrata nel gruppo degli Stati più potenti, il G7, e con le economie migliori. La gente non immagina che da lì a due anni, nel fatidico 1992, verrà giù tutto: Tangentopo­li, le stragi di Capaci e di via D’Amelio con le morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La fine della Prima Repubblica, ma nel 1990 non lo sappiamo, nel 1990 aspettiamo che cominci il nostro Mondiale. Per vincerlo e per mostrare al mondo la forza e le bellezza del made in Italy, dei marchi della moda, del design, dell’auto. Lusso, cibo, sfilate: l’eterno richiamo della dolce vita. Nel 1990 siamo ricchi o presumiamo di esserlo, ma il debito pubblico comincia a gonfiarsi come la rana di Esopo. Spendiamo più di quel che abbiamo e per il Mondiale innaffiamo l’Italia con una pioggia di miliardi di lire. Non tutti i soldi arrivano a corretta destinazio­ne, il fiume di denaro si disperde in mille rivoli. Ristruttur­iamo stadi antichi e gli unici nuovi che costruiamo, il Delle Alpi di Torino e il San Nicola di Bari, hanno le sembianze di cattedrali nel deserto, nascono vecchi, con inutili piste d’atletica a guarnirli. Non vinciamo il Mondiale e perdiamo l’appuntamen­to con il futuro. Nessuna visione, ma un’allegra sciagurata dispersion­e. È stata questa la vera sconfitta di Italia 90. s.v.

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Gli occhi spiritati di Totò Salvatore Schillaci, oggi 55 anni, capocannon­iere al Mondiale di Italia 90 con 6 gol

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