La Gazzetta dello Sport

«I tifosi servono anche a noi Ne sentiremo la mancanza I 5 cambi? Ora sì, ma poi...»

L’ex grande direttore di gara analizza la ripresa dopo lo stop «Le sostituzio­ni in più sono utili solo per evitare gli infortuni»

- Di ed.lu.

«Questi mesi dell’emergenza li ho vissuti male. Sono veneto, vivo in Lombardia, per motivi di famiglia ho visto il dolore dei bergamasch­i, i loro drammi. Credo sia stato un segnale per l’uomo, un campanello d’allarme. Il calcio è una cosa importante per me, certo, ma in questo periodo l’ho messo nell’armadio».

Parole di Paolo Casarin, 80 anni compiuti nei giorni del Covid-19. Lo storico arbitro internazio­nale, oggi opinionist­a anche sulle pagine del Corriere della Sera, si prepara a ritirare fuori il pallone dall’armadio mentre lavora al suo libro atteso nei prossimi mesi. «Ogni pagina è difficile, non sarà un’autobiogra­fia, rispecchia la mia visione costruita in 60 anni di calcio: al centro c’è il gioco, poi i giocatori e gli allenatori. E poi i servizi, tra cui gli arbitri».

3I

servizi? Qualcuno potrebbe storcere il naso...

«Certo, i servizi con la S maiuscola. Attenzione, non i servitori. Si è al servizio del gioco, la cosa fondamenta­le e intoccabil­e. Che è creatività, libertà e imprevedib­ilità, nei miei 60 anni a volte lo abbiamo rovinato e, con alterne fortune ci siamo corretti».

3Ora

«È una cosa che fa pena: un arbitro vero partecipa molto a una partita e una partita a porte chiuse è per forza diversa. Poi anche l’arbitro è estremamen­te vanitoso, ambizioso, vuole fare vedere che è bravo. se non ha nessuno che lo guarda cambiano le cose anche per lui».

3In

cosa?

«Beh, anche il fischio del pubblico all’arbitro è come una sfida: il direttore di gara può mostrare di aver visto qualcosa che agli altri è sfuggito. Il gioco è una forma di invito a dare tutto se stesso, anche per il servitore del gioco, e il pubblico fischiando tiene il gioco sul binario, ti tiene vivo e in regola. Non vuol dire che il calcio così sia morto, ma sicurament­e scade».

Uno studio dell’Università di Reading, analizzate 103 partite a porte chiuse degli ultimi 18 anni, sostiene che senza pubblico calino le ammonizion­i, che ne pensa?

«Può essere interessan­te ma ci

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sono troppi elementi da analizzare in ogni partita. Nel calcio le statistich­e non danno sentenze, possono indicare una tendenza, al limite. Ma quello che ci aspetta sarà curioso. Vedremo se avrà la meglio la voglia di preservare le energie, come si reagirà al caldo, al calendario così intenso. E ci saranno partite meno accese per la posta in gioco e altre da vero e proprio spareggio. Non c’è un metro unico, le situazioni variano».

Si torna in campo con proteste vietate, distanze di sicurezza imposte. Di fatto un rafforzati­vo di regole spesso ignorate. Cambierà qualcosa? «Non so, il nervosismo nei confronti dell’arbitro è un fattore che non credo possa scomparire da un momento all’altro, non è che il virus rende tutti più buoni».

3 3Insomma,

il refrain del “saremo migliori” applicato al calcio non la convince

«Non so, staremo a vedere, tutto può essere. Per paradosso allora un compagno di squadra che si vede abbracciar­e dopo un gol potrebbe reagire con un pugno per paura (ride, ndr). È tutto nuovo per tutti, capire

3Cioè?

«Se riconoscia­mo che siamo tutti in difficoltà è già un grosso passo avanti. Rendersi conto che l’arbitro ha un suo ruolo che cerca di fare al meglio. Se ci si capisce a vicenda la difficoltà comune può far crescere tutti. Stiamo tutti uscendo dall’inferno e lo facciamo insieme».

Giocatori più buoni? Non credo che il nervosismo verso l’arbitro possa sparire

La Var è nata per rendere a tutti le cose più semplici: si cresce con la regolarità

3Tra

le modifiche temporanee ci sono i 5 cambi. Passata l’emergenza?

«Si deve tornare indietro, non ho dubbi. Una delle valutazion­i fatte da chi proponeva l’aumento dei cambi è quella di ovviare a tenere in campo giocatori fisicament­e stressati. È vero, ma stiamo attenti: il rischio è di snaturare il gioco, a cambiarne l’anima. Ora i 5 cambi hanno un senso per combattere gli infortuni, dopo possono contribuir­e a fare un gioco a chi ha la panchina più forte. Adesso va bene, dopo torniamo al calcio. Che ha delle basi e questa è una di quelle».

3La

Var è ormai una certezza, ma non si può dire che sia perfetta, per questo si continua a cambiare e ad aggiustare. Quando ci si deve fermare? «Il problema non è la tecnologia ma le persone che devono lavorare insieme l’arbitro in campo e quello al monitor. “L’arbitro in campo deve decidere” si dice. Ma su, l’altro lo aiuta, è suo amico: lui perde qualcosa? No, ne acquista la partita. In un tempo in cui si mette in dubbio tutto, come si fa ad accettare che una partita sia involontar­iamente falsata da un bravo arbitro quando abbiamo lì la soluzione? Il Var non ti invita a complicare le cose, ma a semplifica­re. Non cresciamo sulla pignoleria, ma sulla regolarità».

3Perché

nel calcio di oggi un ragazzo dovrebbe ancora decidere di intraprend­ere la carriera dell’arbitro?

«Di sicuro non deve farlo per i soldi, se posso dare un consiglio è meglio che un arbitro mantenga il posto di lavoro, sennò pensa di fare carriera per quello. Mettersi a disposizio­ne, essere dei grandi servitori del gioco, è una grande soddisfazi­one. Io sono contento di aver fatto l’arbitro lo rifarei domani ripartendo dalle fondamenta. Questo calcio non ha bisogno di inventori, ma di traduttori, che lo spieghino, che lo rendano comprensib­ile».

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questo può cambiare le cose».
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Nato a Mestre il 12 maggio 1940, Paolo Casarin cominciò ad arbitrare nel 1958: la sua prima gara in A risale al 1971. Arbitro internazio­nale, ha arbitrato a Europei e Mondiali, fino al 1988. Lasciato l’impegno sul campo è stato anche designator­e
Veneto Nato a Mestre il 12 maggio 1940, Paolo Casarin cominciò ad arbitrare nel 1958: la sua prima gara in A risale al 1971. Arbitro internazio­nale, ha arbitrato a Europei e Mondiali, fino al 1988. Lasciato l’impegno sul campo è stato anche designator­e

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