PIÙ PAURE, MENO FIGLI E IL LAVORO CHE CROLLA L’ITALIA FERITA DAL COVID NON CREDE NEL FUTURO
Il rapporto Istat sul Paese: crescono povertà e diseguaglianze Penalizzati giovani e donne, mentre incidono i tagli alla Sanità L’impatto sulla natalità: «In 2 anni 30 mila bambini in meno»
I numeri di un Paese in cui, dopo la bufera causata dal coronavirus, l’ascensore sociale viaggia verso il basso e un’impresa su otto pensa di tagliare il personale. Ma il presidente dell’Istat Blangiardo (nella foto) invita a puntare sulla digitalizzazione e non cede al pessimismo: «Gli italiani hanno dimostrato coesione»
1 Ci siamo lavati molto le mani, di recente.
Circa 11,6 volte al giorno. Ma siamo stati bravi anche a rispettare il distanziamento fisico (ci è riuscito il 92,4% della popolazione) e a ridurre le visite a parenti e amici (l’80,9% ha rinunciato). Il rapporto annuale dell’Istat, presentato ieri e basato sulla elaborazione di dati provenienti da fonti amministrative o da questionari (per esempio online o telefonici), fotografa la risposta degli italiani davanti alle regole antiCovid. Racconta però anche un Paese che si prometteva di “uscire migliorato” dalla pandemia e, come prevedibile, inciampa in antichi problemi. Nell’Italia che, nel 2019, aveva visto ridursi - per la prima volta - il numero e la quota di famiglie in povertà assoluta, le diseguaglianze dividono pure le generazioni: per il 26,6% dei nati fra il 1972 e il 1986, la probabilità di raggiungere migliori posizioni della scala sociale è infatti diminuita. L‘ascensore è diventato “mobile” verso il basso e quel 26,6% supera, per la prima volta, la percentuale di coloro la cui posizione si muove verso l’alto, cioè il 24,9%. Le differenze incidono anche sulle condizioni di salute, perché meno reddito significa meno possibilità di curarsi. In un Paese in cui, fra i 130 mila “censiti” nei centri Caritas, sono comparse persone con un impiego irregolare fermo per la pandemia, lavoratori saltuari senza ammortizzatori sociali, dipendenti in attesa della cassa integrazione e casalinghe. «L’epidemia ha colpito maggiormente i soggetti più vulnerabili — osserva l’Istat —: sono infatti le persone con titolo di studio più basso a sperimentare livelli di mortalità più elevati». Si aggiunge il tema della spesa sanitaria - un sistema pur giudicato «resiliente» - aumentata solo dello 0,2% a fronte di una crescita economica dell’1,2%. Con un calo di medici e infermieri di quasi il 5%, mentre l’erosione dei posti letto negli ospedali ha portato a contarne 3,5 ogni mille abitanti (8 in Germania). E così, i sindacati mandano un messaggio al governo: «Per la prima volta dalla storia avremo tante risorse dall’Ue per fare investimenti - osserva Annamaria
Furlan della Cisl -: sul Mes prevalga il buon senso». Si unisce il presidente della Camera Roberto Fico: «Bisogna investire le risorse Ue per eliminare le diseguaglianze e per lo sviluppo sostenibile». Le Acli, infine, chiedono «una grande riforma fiscale per riprendere il tema della redistribuzione del reddito».
2 Anche perché, intanto, il 12% delle aziende pensa di tagliare posti di lavoro.
E un terzo delle società è a corto di liquidità. Anche se il Pil, che per l’Istat rischia una caduta media dell’8,3% nel 2020, «potrebbe registrare un aumento nel secondo semestre dell’anno». Ma, anche se «si intravedono i primi segnali di reazione», restano i risvolti sociali: 2,1 milioni di famiglie hanno almeno un occupato irregolare, ad esempio e «tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali, cioè serali, notturni, nel fine settimana. Con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del lavoro e di conciliazione con la vita privata».
3 Ed ecco il bisogno di fare i conti con un Paese in cui si fanno sempre meno figli. Perché cresce l’aspettativa di vita, tanto che l’Istat suggerisce di definire «anziani» gli uomini a 73 anni e le donne a 76 ma «la rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid». I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale di quest’anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021. In 24 mesi potrebbero insomma venire al mondo 30 mila bambini in meno in un Paese che, a fine 2019, ancora l’Istat definiva «uno dei più vecchi al mondo». Da un lato cala la fecondità (proprio nel 2019 eravamo ultimi in Europa, per un insieme di fattori culturali ed economici), dall’altro «per circa la metà delle
persone che non hanno figli e non intendono averne, le motivazioni addotte evidenziano, più che una scelta, una sorta di rassegnazione a fronte di oggettive difficoltà». Mentre, osserva ancora l’Istat, «il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenziando un significativo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realizzare». Secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica alla Cattolica di Milano, la diminuzione delle nascite è l’indicatore più «sensibile circa le difficoltà oggettive del Paese e anche rispetto all’incertezza per il futuro» ma, in assenza di un piano di rilancio «rischiamo di avere una combinazione di squilibri demografici, questioni generazionali e disuguaglianze di genere e sociali, che si inaspriranno».
4 L’Istat indica tuttavia un ambito (in fondo scontato) su cui puntare: la digitalizzazione. «Un investimento decisivo per i prossimi anni, particolarmente per i giovani e i ragazzi del nostro Paese», spiega il presidente Gian Carlo Blangiardo. E “digitalizzazione” fa pensare a un tema direttamente legato alle nuove generazioni come quello della scuola. In un Paese in cui «i livelli di scolarizzazione sono tra i più bassi della Ue», la carenza di strumenti informatici in famiglia ha creato difficoltà nella didattica a distanza al 45,4% degli studenti di 6-17 anni . Con il Sud particolarmente svantaggiato. E a chi ricorda che si tratta di criticità ormai storiche, Blangiardo replica invitando a considerarle «leve della ripresa». Insomma, trasformare la crisi in opportunità.
5 Un motivo di speranza, tra i numeri, si coglie. «Il segno distintivo durante il lockdown è stato di forte coesione», osserva l’istituto di ricerca. Per metafora, il Paese non se ne è lavato le mani. Ma adesso la sfida è ripartire.