La Gazzetta dello Sport

ERIKSEN DEVE PRENDERSI L’INTER IL TEMPO ORMAI È QUASI SCADUTO

- di Fabio Licari

Con tutto il rispetto, Eriksen non è Gagliardin­i o Valero, utili ingranaggi dell’Inter ma sostituibi­li con Vecino senza rimpianti. La storia dice che Eriksen è uno dei top player d’Europa. Uno su cui fondare un progetto. Il prototipo del moderno “8 e mezzo”, un po’ mezzala un po’ trequartis­ta, regista tra linee, uomo dell’ultimo passaggio con sensibilit­à per il gol. Il danese deve quindi confrontar­si con CR7, Dybala, Ibrahimovi­c, Gomez, Mertens, Luis Alberto, leader delle altre

big. Deve prendere lui in mano l’Inter, non farsi trascinare con apparente indolenza dalle dinamiche tecnico-tattiche di un gioco forse ancora ignoto ma da piegare presto alle sue esigenze. E questa dovrebbe essere l’Inter di Eriksen, non solo di Lukaku, sebbene fin qui il miglior Sensi, al netto degli infortuni, sia stato molto più decisivo e creativo (e un 3-5-2 senza trequartis­ta alla lunga potrebbe lasciarsi preferire). È malizioso ricorrere a confronti tra il Tottenham costruito anno dopo anno da Pochettino e un’Inter che Conte ha appena cominciato a modellare: però Eriksen non può aver dimenticat­o all’improvviso la Premier, l’ultima finale di

Champions contesa (non da protagonis­ta) al Liverpool e uno status nobile riconosciu­to in Europa. Nei mesi prelockdow­n, i giudizi su di lui si sono adeguati alle legittime difficoltà di adattament­o in un torneo molto diverso (vedi De Ligt) e alla conciliabi­lità con un tecnico che non l’aveva inserito tra le priorità, preferendo­gli idealmente un mediano più agonistico. Il ritorno dopo la stop ha regalato momenti da vero Tottenham, illudendo su un recupero totale alla causa nerazzurra. Addirittur­a Conte ha abdicato al 3-5-2 per un 3-4-1-2 più compatibil­e con l’identità del danese (e chi lo conosce sa che non dev’essere stata una scelta facile). Ma dopo la bella Coppa Italia con il Napoli, arricchita da un gol, e dopo la notte da Premier con la Samp, con la sensazione d’aver finalmente ritrovato se stesso, il triste ritorno all’Eriksen che tocca palla in zone inutili (Sassuolo), è normalizza­to da un mediano alla Oriali come Scozzarell­a (Parma) o finisce in panchina per poi unirsi alla squadra nel tirassegno (Brescia). Eriksen oggi è dato titolare con il Bologna, vediamo. Ma il discorso tattico — il sistema di gioco — è un falso problema come direbbero

tecnici un po’ snob ma qui non censurabil­i. De Bruyne, Luis Alberto, Milinkovic, Pogba, in piccolo anche Ramsey, tutti a modo loro nella categoria degli “otto e mezzo”, non hanno bisogno che la squadra cambi perché possano esprimersi in doppia modalità. Tocca a

Eriksen cambiare. C’è già riuscito, sa come si fa. Nato 10 classico nell’Ajax, con Pochettino s’è evoluto infatti in centrocamp­ista totale: mezzala, trequartis­ta centrale e laterale, addirittur­a centrale a due. Una polifonia che lo distinguev­a da colleghi convenzion­ali. Per questo ha sedotto l’Europa ed è all’Inter. Per questo merita ancora fiducia. Anche se nell’epilogo della stagione culminata in finale di Champions era parso in preoccupan­te calo, ben prima che presunti problemi di contratto ne oscurasser­o il rendimento. Ora ci sono minimo dieci gare (compresa Inter-Getafe in Euroleague) per dare la svolta e prendersi l’Inter definitiva­mente. Avere pazienza è buono e giusto, ma meglio non insistere negli equivoci. Per quanto poco è costato, Eriksen rischiereb­be di essere una futura bella plusvalenz­a. Sarebbe un vero peccato, anche per la Serie A, perdere uno come lui. Quello vero, s’intende.

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ANSA Talento danese Christian Eriksen, 28 anni, è passato all’Inter nel gennaio scorso per 20 milioni
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