ERIKSEN DEVE PRENDERSI L’INTER IL TEMPO ORMAI È QUASI SCADUTO
Con tutto il rispetto, Eriksen non è Gagliardini o Valero, utili ingranaggi dell’Inter ma sostituibili con Vecino senza rimpianti. La storia dice che Eriksen è uno dei top player d’Europa. Uno su cui fondare un progetto. Il prototipo del moderno “8 e mezzo”, un po’ mezzala un po’ trequartista, regista tra linee, uomo dell’ultimo passaggio con sensibilità per il gol. Il danese deve quindi confrontarsi con CR7, Dybala, Ibrahimovic, Gomez, Mertens, Luis Alberto, leader delle altre
big. Deve prendere lui in mano l’Inter, non farsi trascinare con apparente indolenza dalle dinamiche tecnico-tattiche di un gioco forse ancora ignoto ma da piegare presto alle sue esigenze. E questa dovrebbe essere l’Inter di Eriksen, non solo di Lukaku, sebbene fin qui il miglior Sensi, al netto degli infortuni, sia stato molto più decisivo e creativo (e un 3-5-2 senza trequartista alla lunga potrebbe lasciarsi preferire). È malizioso ricorrere a confronti tra il Tottenham costruito anno dopo anno da Pochettino e un’Inter che Conte ha appena cominciato a modellare: però Eriksen non può aver dimenticato all’improvviso la Premier, l’ultima finale di
Champions contesa (non da protagonista) al Liverpool e uno status nobile riconosciuto in Europa. Nei mesi prelockdown, i giudizi su di lui si sono adeguati alle legittime difficoltà di adattamento in un torneo molto diverso (vedi De Ligt) e alla conciliabilità con un tecnico che non l’aveva inserito tra le priorità, preferendogli idealmente un mediano più agonistico. Il ritorno dopo la stop ha regalato momenti da vero Tottenham, illudendo su un recupero totale alla causa nerazzurra. Addirittura Conte ha abdicato al 3-5-2 per un 3-4-1-2 più compatibile con l’identità del danese (e chi lo conosce sa che non dev’essere stata una scelta facile). Ma dopo la bella Coppa Italia con il Napoli, arricchita da un gol, e dopo la notte da Premier con la Samp, con la sensazione d’aver finalmente ritrovato se stesso, il triste ritorno all’Eriksen che tocca palla in zone inutili (Sassuolo), è normalizzato da un mediano alla Oriali come Scozzarella (Parma) o finisce in panchina per poi unirsi alla squadra nel tirassegno (Brescia). Eriksen oggi è dato titolare con il Bologna, vediamo. Ma il discorso tattico — il sistema di gioco — è un falso problema come direbbero
tecnici un po’ snob ma qui non censurabili. De Bruyne, Luis Alberto, Milinkovic, Pogba, in piccolo anche Ramsey, tutti a modo loro nella categoria degli “otto e mezzo”, non hanno bisogno che la squadra cambi perché possano esprimersi in doppia modalità. Tocca a
Eriksen cambiare. C’è già riuscito, sa come si fa. Nato 10 classico nell’Ajax, con Pochettino s’è evoluto infatti in centrocampista totale: mezzala, trequartista centrale e laterale, addirittura centrale a due. Una polifonia che lo distingueva da colleghi convenzionali. Per questo ha sedotto l’Europa ed è all’Inter. Per questo merita ancora fiducia. Anche se nell’epilogo della stagione culminata in finale di Champions era parso in preoccupante calo, ben prima che presunti problemi di contratto ne oscurassero il rendimento. Ora ci sono minimo dieci gare (compresa Inter-Getafe in Euroleague) per dare la svolta e prendersi l’Inter definitivamente. Avere pazienza è buono e giusto, ma meglio non insistere negli equivoci. Per quanto poco è costato, Eriksen rischierebbe di essere una futura bella plusvalenza. Sarebbe un vero peccato, anche per la Serie A, perdere uno come lui. Quello vero, s’intende.