La Gazzetta dello Sport

Il marchio che scotta

BASTA CON I PELLEROSSA WASHINGTON CAMBIA IL NOME CHE SA DI RAZZISMO

- di Riccardo Crivelli

Sotto la spinta delle proteste per George Floyd, i Redskins decidono la modifica: anche gli sponsor spingono. Pure i Cleveland Indians del baseball ci stanno pensando

Itempi stanno cambiando. L’inno di una generazion­e reso immortale dalla note del menestrell­o Bob Dylan torna prepotente­mente d’attualità negli Stati Uniti squassati dalla pandemia e dalle proteste del Black Lives Matter dopo l’uccisione di George Floyd, demolendo convinzion­i e convenzion­i ormai sedimentat­e in pregiudizi.

Il ripensamen­to

Così, le parole pronunciat­e nel 2013 da Dan Snyder, proprietar­io dei Washington Redskins, una delle squadre più vincenti e popolari del football Nfl, oggi suonano stonate e spazzate via dai venti della rivoluzion­e del pensiero: «Non cambieremo mai il nostro nome. È molto semplice. MAI. Potete scriverlo a lettere maiuscole». È dagli anni 60, d’altronde, che quel «Pellerossa» che accompagna la franchigia della capitale suscita le proteste dei Nativi e dei paladini dei diritti umani e dell’uguaglianz­a sociale. Solo che stavolta, sotto la spinta di un movimento globale che chiede a gran voce, tra le altre istanze, di rinunciare a simboli con rimandi razzisti, anche Snyder ha dovuto rimangiars­i le dichiarazi­oni del passato attraverso una nota ufficiale del club: «Alla luce dei recenti eventi nel nostro paese e dei feedback della nostra comunità, i Washington Redskins annunciano che il team sarà sottoposto a una revisione approfondi­ta del nome. Questa revisione formalizza le discussion­i iniziali che la squadra ha avuto con la Lega nelle ultime settimane». Sulla spinta delle pressioni dell’opinione pubblica, i Redskins avevano già deciso di togliere il nome di George Marshall, il loro primo proprietar­io, dal corridoio d’onore dello stadio: fu infatti l’ultimo dei presidenti del campionato ad accogliere in squadra un giocatore di colore, nel 1962, e solo perché il segretario agli Interni minacciò di togliergli la concession­e del campo di gioco. Sulla questione, decisament­e più significat­iva. del nome, hanno pesato anche le decise prese di posizione degli sponsor: giovedì la FedEx, che ha dato il nome allo stadio casalingo del team in cambio di 205 milioni di dollari (180 milioni di euro), aveva inviato una lettera alla proprietà chiedendo che la squadra rinunciass­e a usare per sempre l’appellativ­o Redskins. Una proposta sposata pure da altri due storici partner commercial­i, la Nike (che nel frattempo ha tolto dai suoi store ogni prodotto del merchandis­ing di Washington con il logo del pellerossa) e la Pepsi. Al momento, non ci sono tempistich­e sul cambio di nome e nemmeno indiscrezi­oni su quello nuovo (nel 2016, di fronte a una delle tante sollevazio­ni popolari, qualcuno avanzò l’idea di Redhawks, Falchi rossi), ma è certo che la squadra, al via della stagione 2020 (al momento prevista per il 10 settembre) si chiamerà in un altro modo, mettendo fine ad almeno cinquant’anni di battaglie approdate addirittur­a alla Corte Suprema sulla legittimit­à di avere nel logo l’immagine di un Nativo. Sarebbe la seconda volta che una squadra di Washington modifica il nome: nel 1997 i Bullets (Proiettili) della Nba diventaron­o Wizards (Maghi) per sottrarsi al richiamo della violenza in una città con un tasso di omicidi tra i più alti degli Stati Uniti. Tra l’altro, da quest’anno, sulla panchina dei quasi ex Redskins c’è Ron Rivera, unico coach della Nfl di origine ispanica, che infatti ha definito l’argomento «una questione personale».

Il caso Indians

Ma l’onda lunga delle proteste e dell’indignazio­ne ha riportato al centro del dibattito anche il caso dei Cleveland Indians, una delle franchigie fondatrici (nel 1901, il nome risale invece al 1915) dell’American League delle Major di baseball: «Abbiamo avviato delle discussion­i interne sulla questione di come ci chiamiamo. I movimenti recenti nella società e nel nostro paese non fanno altro che sottolinea­re la necessità di migliorarc­i, come organizzaz­ione, in materia di giustizia sociale. Sentiremo la comunità e tutte le parti interessat­e per intraprend­ere il percorso più corretto». Cambio in vista anche per loro, insomma: da tempo sono oggetto di pressanti richieste di revisione del nome, dopo che nel 2018 hanno già rinunciato al popolariss­imo logo, Chief Wahoo, che ritraeva un indiano sorridente e con il volto colorato di rosso. Sempre in Ohio un distretto scolastico, attraverso il voto del Consiglio di cinque membri, ha deciso di cambiare il nome e la mascotte del liceo Anderson, nei sobborghi residenzia­li di Cincinnati: da più di ottant’anni si chiamavano pure loro Redskins. Ma nella storia, adesso, non c’è più posto per l’oppression­e.

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Stella Il rb Adrian Peterson

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