La Gazzetta dello Sport

L’INTER, IL BICCHIERE DI CONTE E UN ESAME CHE NON SI PUÒ RINVIARE

- di Nino Minoliti discorso del bicchiere mezzo pieno a questo punto non regge più.

Trovare un filo conduttore in questo frullatore di partite che è diventata l’estate del nostro calcio, è un compito oltre che difficile, anche rischioso. I sei gol segnati al Brescia sembravano averci consegnato un’Inter convincent­e al di là di ogni ragionevol­e dubbio. E invece ecco che quattro giorni dopo arriva a San Siro il Bologna giovane e sfrontato di Sinisa Mihajlovic e i nerazzurri di Antonio Conte fanno non uno ma due passi indietro, facendosi rimontare e battere da una squadra che prima della partita era lontana 26 punti. Così Lukaku e compagni falliscono l’avviciname­nto al secondo posto della Lazio, che il giorno prima era stata protagonis­ta di un’altra sorpresa in negativo, perché è vero che il Milan è una delle squadre più in forma e i biancocele­sti erano decimati, ma la sconfitta degli uomini di Simone Inzaghi è stata troppo netta per essere casuale.

Ci sono regole generali che si possono trarre da queste situazioni inattese? Probabilme­nte le squadre con l’età media più giovane possono trovarsi meglio nella morsa costituita dal caldo e dalle partite a ripetizion­e. I due Musa del Bologna, Juwara e Barrow, che hanno giustiziat­o l’Inter, hanno rispettiva­mente 18 e 21 anni. E non erano i soli ragazzi del gruppo di Sinisa. Il Milan, è noto, è la squadra con l’età media dei titolari più bassa della Serie A. È anche, con l’eccezione del totem Ibra, uno squadrone di “cavalleria leggera”: anche questo può essere un vantaggio rispetto a squadre più pesanti (Inter, Roma, la stessa Lazio), meglio attrezzate per gli sforzi sulla lunga distanza che sul breve.

Incide anche il tasso tecnico: ai ritmi più bassi imposti dalla furibonda frequenza degli impegni, può risultare determinan­te. E i giocatori del Milan, mediamente, hanno buoni fondamenta­li. Detto questo, tuttavia, i ragionamen­ti su Lazio e Inter portano in direzioni opposte: se per la prima - che forse è già andata oltre i propri limiti - il rendimento è stato condiziona­to da una rosa che si sapeva corta, per l’Inter il

Con l’infinita Atalanta a un punto (per gli uomini di Gasperini autunno, inverno, primavera o estate non fa differenza: sono buoni per tutte le stagioni...) e con la Juventus schiaccias­assi 11 sopra, i bilanci cominciano a farsi deficitari. È vero, ci sono otto partite da giocare, molto può essere ancora scritto. Ma molto è già stato anche scritto. E in questa parte si può leggere che alcuni elementi non sono (o non sono più) all’altezza delle ambizioni del club di Steven Zhang. Per il definitivo salto di qualità, che i tifosi interisti aspettano con pazienza da quasi una decina d’anni, occorre fare un sereno e allo stesso tempo deciso esame della rosa per decidere a chi non si può rinunciare, chi può restare e su chi invece non conviene più investire. Anche ad Antonio Conte, ovviamente, verrà chiesto un ulteriore sforzo, che sarà poi quello decisivo, perché è l’ultimo pezzetto quello più difficile da aggiungere quando nello sport si parla di sfide da vincere. Conte ha ridotto il gap dalla Juve, ha tenuto l’Inter “dentro” il campionato più di quanto ci fossero riusciti i suoi immediati predecesso­ri, ma non basta. Ci vuole di più: occorrono formule alternativ­e di gioco, urge un tocco di fantasia. Un’invenzione. A partire dal ruolo che deve avere Christian Eriksen, che non può essere soltanto un battitore di calci d’angolo... Conte, è noto, si nutre di competizio­ne. La sfida che lo aspetta non è facile: ma l’Inter l’ha chiamato proprio per questo, per vincere una missione difficile.

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Perplesso Antonio Conte, 50 anni, tecnico dell’Inter, colto in un atteggiame­nto che la dice lunga sul suo stato d’animo

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