La Gazzetta dello Sport

UN LEADER NON FA COSÌ

- di Andrea Di Caro

Per capire la gravità delle affermazio­ni di Antonio Conte nei confronti dell’Inter e del danno di immagine procuratol­e, basta ricordare che sull’altra sponda di Milano, quella rossonera, Zvone Boban è stato licenziato per aver detto molto meno...

Per capire la gravità delle affermazio­ni di Antonio Conte nei confronti dell’Inter e del danno di immagine procuratol­e, basta ricordare che sull’altra sponda di Milano, quella rossonera, Zvone Boban è stato licenziato per aver detto molto meno. Nonostante la forte irritazion­e, però, l’intenzione del club nerazzurro è di proseguire il matrimonio con il suo tecnico, visti anche i risultati di quest’anno. Ma dipenderà più da Antonio e dai suoi atteggiame­nti che dalla società, da tempo in modalità “sopportazi­one” per le sue continue uscite polemiche. Quella pesantissi­ma di sabato infatti è solo l’ultima di una lunga serie di critiche. Tra le tante precedenti ricordiamo «Quando in Lega hanno rifatto i calendari, i nostri dirigenti erano usciti…». Ma a tutto c’è un limite. O, per dirla con il gioco di parole di un altro Antonio più famoso, il principe De Curtis in arte Totò, «ogni limite ha una pazienza». E la società adesso pare davvero stufa di essere pubblicame­nte sculacciat­a da un tecnico, bravissimo sul campo, ma che sembra aver dimenticat­o il perimetro del proprio ruolo. Un qualsiasi dipendente, infatti, anche il più importante come lui, può chiedere, spronare e infine decidere il suo futuro: restare, se è soddisfatt­o e a proprio agio, o dimettersi se non condivide strategie e progetti. Ma in nessun caso può permetters­i di offendere il club, la proprietà, i dirigenti. Perché è Conte a lavorare per l’Inter, non l’Inter a lavorare per Conte. Un grande allenatore deve essere, per il ruolo che ricopre, anche un leader. E un leader non crea spaccature interne in diretta tv. Condivide i meriti, non li rende patrimonio esclusivo suo e dei giocatori, i quali fino a prova contraria sono stati acquistati e vengono retribuiti dalla società e non dall’allenatore che pure li ha chiesti e ottenuti. Un vero leader i panni sporchi non li mette ogni settimana in piazza facendo volare gli stracci, rovinando i momenti che dovrebbero essere felici per il club. Men che meno se è pure strapagato per svolgere il suo lavoro. Lo status di tecnico da top club non si misura soltanto dall’ingaggio e dalle vittorie, ma anche dalla capacità di gestire i momenti e remare insieme alla società. E in questo Conte mostra dei limiti. Non a caso la sua carriera, oltre ai successi, racconta di rapporti portati a logorament­o e terminati quasi sempre in modo brusco. È stato così nelle serie minori ed è proseguito alla Juve (mai digerita la sua battuta sulla Champions «ristorante dove non si mangia con 10 euro»), in Nazionale, al Chelsea (licenziame­nto e rapporto finito in tribunale) e ora all’Inter. Eppure dovrebbe esserci di peggio per un tecnico che avere come presidenti Agnelli, Abramovich, Suning o la Federazion­e quattro volte campione del Mondo.

Adrenalina, voglia di vincere, ambizione: le qualità che tutti riconoscon­o a Conte sembrano portarlo a un certo punto fuori giri. La consideraz­ione di sé straborda: «Io ho una visione, altri no», «Non sto qui a fare il parafulmin­e», «La società è debole». Anche meno, Antonio, dai... Senza bisogno di citare la famosa battuta «Rilassati, Dio esiste, ma non sei tu». Anche perché a fare solo due punti in casa contro Sassuolo, Bologna e Fiorentina, perdendo il treno scudetto, non sono stati i dirigenti.

Attenzione: non stiamo scrivendo che abbia torto a sostenere che l’Inter debba migliorare non solo in campo ma anche fuori. Anzi, ha pure ragione. Ma non si fa così. E il suo esempio non è edificante. Se tutti i tecnici andassero a fine partita a parlare in quel modo dei propri club, sarebbe la totale anarchia. Senza dimenticar­e che i tecnici hanno un ruolo stressante, ma anche privilegia­to. Difficile accettino un ingaggio per meno di due-tre anni per sé e i loro ampissimi staff. La maggior parte non termina il mandato per carenza di risultati o divergenze con i presidenti e passa il resto del tempo stipendiat­a a casa, rifiutando spesso altre offerte e godendosi anni sabatici. Sinceramen­te non pensiamo sia questo l’intento di Conte. Ma allora, perché lo fa? Rumors e scenari, girano tante versioni: vuole soltanto spronare la società a cambiare pelle e qualche dirigente; vuole farsi esonerare; cerca un motivo per andarsene; vuole far capire ad altri top club (leggi Juve) che può liberarsi; è stato già contattato da altri; sempliceme­nte lui è così: prendere o lasciare. L'Inter per ora non lo lascia, se vuole andarsene lui, dovrà dirlo presto.

 ??  ?? Tecnico internazio­nale Antonio Conte, 51 anni, è al primo anno sulla panchina dell’Inter, ha vinto tre scudetti con la Juve e una Premier con il Chelsea
Tecnico internazio­nale Antonio Conte, 51 anni, è al primo anno sulla panchina dell’Inter, ha vinto tre scudetti con la Juve e una Premier con il Chelsea

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