Mergim fuggito dalla guerra tra fame e dolore
IVojvoda sono originari della regione di Drenica, cuore del Kosovo, non molto lontano dalla capitale Pristina. È da qui che è cominciata la storia dei genitori di Mergim ed è qui che, negli ultimi anni, lui è ritornato acquistando e ricostruendo quattro case dove vivevano i suoi familiari, distrutte dai bombardamenti. È una storia di guerra e di dolore, di fame e di sete, quella di Mergim Vojvoda, un racconto che accumuna tantissimi figli del Kosovo della sua generazione, cresciuti negli anni Novanta. All’inizio di quel decennio i genitori di Mergim decidono di emigrare, è ormai troppo pericoloso continuare a vivere nelle campagne del Kosovo. Si trasferiscono in Germania, dove nel 1995 a Hof, in Alta Franconia, nasce Mergim. Il 5 marzo 1998 scoppia ufficialmente la guerra del Kosovo, in coda a un periodo di alta tensione, di rivolte, uccisioni e massacri. La vita da rifugiati in Germania dura poco, perché presto il governo tedesco obbliga i Vojvoda (madre, padre, Mergim, il fratello e le due sorelle) a rientrare in Kosovo. Inizia il periodo più difficile: c’è la guerra che sconvolge il Paese, non hanno una casa, un riparo, senza cibo e spesso anche acqua. Per mesi vivono nei boschi per sfuggire alle bombe. Viaggiano sui trattori, si nascondono tra i sacchi di grano per scampare ai rastrellamenti. È durissima, è l’infanzia di Mergim: non c'è un tetto, si dorme all’aria aperta, si combatte contro fame e sete. D’improvviso si riaccende una speranza: c’è un nuovo viaggio, stavolta diretti in Repubblica Ceca. Si spera che sia l’inizio di un periodo migliore, e invece la polizia ceca arresta il padre, il fratello e una sorella. Prima di potersi riabbracciare passano sei mesi. Non può essere quello il luogo dal quale ripartire, e allora tocca fuggire ancora. Nel frattempo una delle zie si è trasferita in Belgio, a Liegi, che così diventa la destinazione naturale, fino a rappresentare la svolta di una vita. I Vojvoda s’insediano, crescono e Mergim comincia a giocare a calcio. A 16 anni lo prende lo Standard Liegi, nel giorno del suo diciottesimo compleanno firma il primo contratto da professionista. È un calciatore affermato, ha il passaporto belga, l’incubo della guerra è alle spalle, ma lui non dimentica. «In ogni partita con il Kosovo mi immagino di essere di nuovo in guerra - ripete -. Divento un soldato che difende il suo paese: il Kosovo è casa mia».
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